STORIA DI MARAS V – A Pisa – Publio e Lucio – Eolo Giovannelli

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A Pisa

Autobiografia

Umberto con Natalia Dalla Piccola

Umberto Giannettoni con Natalia Dalla Piccola

Per il nuovo cattedratico “gli anni di Pisa” – come li chiamava lui nella speranza che fossero pochi – non furono facili. E lo staff che lo aveva seguito, di cui facevo parte anch’io, si trovò a dover iniziare un lavoro impegnativo, poco remunerato e di nessuna soddisfazione, con le conseguenze che si possono immaginare specialmente se si pensa che a tutti erano state fatte le stesse promesse: bella carriera, buon stipendio e docenza. (I degenti al nostro arrivo erano tre!) Per me le cose erano diverse. Intanto ero venuto per “portare l’Ideale a Pisa” e poi avevo già una certa esperienza di Gesù Abbandonato che, se mi si era manifestato all’inizio come luce, non aveva tardato a rivelarsi come dolore. Naturalmente non potevo dire a tutti che cosa mi spingeva a vedere sempre le cose “con ottimismo” – come dicevano loro. Trovavo volta a volta frasi diverse (per esempio: “è bello essere dei pionieri” oppure “quando torneremo a Milano ne parleremo come di tempi eroici” o più semplicemente “c’è chi sta peggio di noi”) e così traducevo in termini accessibili a tutti quell’alchimia che cercavo di operare ogni momento in me: trasformare il dolore in amore.

Abitavo in clinica e vi consumavo i pasti. La colazione invece la facevo fuori e così avevo una scusa poter uscire al mattino e recarmi in Cattedrale alla Messa delle 7.

Lucio Dal Soglio a sinistra con Piero Pasolini, Marilen a Fontem

Lucio Dal Soglio a sinistra con Piero Pasolini, Marilen a Fontem

A poco a poco la presenza del nuovo staff si fece notare e le persone cominciarono ad affluire. C’erano parecchie urgenze ed essendo io l’unico anestesista, divenne difficile per me essere libero ogni giorno alle sette. Per cui appena potevo mi recavo in una chiesa e chiedevo l’Eucarestia.

Questo in una città relativamente piccola com’era Pisa fu subito notato e riferito. Me ne accorsi dal modo nuovo – fra lo stupito e il curioso – con cui tutti, dal direttore al portiere, mi guardavano ed evitavano di chiedermi dove fossi stato, se rientravo in ritardo, o perché non volessi prendere nulla dopo mezzanotte (allora il digiuno eucaristico era richiesto da quell’ora).

C’erano in clinica due fratelli, Lucio e Publio, uno laureato da poco, l’altro studente in medicina, che seguivano con interesse il miglioramento operato dal nuovo staff e più volte avevano espresso – più coll’atteggiamento che con le parole – una certa simpatia per il mio modo di vivere. Un sabato pomeriggio mi invitarono a salire con loro sulla cima di un monte nelle Alpi Apuane per assistere alle 3.30 al sorgere del sole. Era un tipo di spettacolo che non mi entusiasmava, soprattutto perché mi sentivo quel giorno abbastanza stanco, e poi avevo appena ricevuto una lettera da Guglielmo che mi comunicava l’apertura del focolare di Firenze ed io ci volevo andare. Tuttavia non volli rifiutare l’invito e, dimenticando la stanchezza, dissi soltanto che l’indomani avrei dovuto essere a Firenze. Furono d’accordo, tanto più che al pomeriggio sarebbero tutti rientrati a Pisa. Così partimmo. Arrivati ai piedi della montagna scoprii che eravamo parecchi, ragazze e ragazzi, e seppi che dopo la salita ci aspettava un rifugio dove riposare alcune ore in attesa dell’alba. Ma giunti al rifugio, lo trovammo così sporco che nessuno volle coricarsi in quei letti. Si preferì aspettare seduti per terra. Ma la noia era visibile in tutti e io per riempire l’attesa, pensai di raccontare qualche fatterello comico di cui ero stato testimone. Riuscii così bene che volarono tre ore, al punto che rischiammo di non assistere al sorgere del sole.

Publio e Lucio

Publio e Lucio furono molto meravigliati di conoscere in me un aspetto che non immaginavano, ma il più meravigliato fui io che per la prima volta assistevo a qualcosa che non sapevo spiegarmi. Poco dopo però quando mi accomiatai menzionando l’impegno di Firenze, Publio mi disse “vengo con te!” ed ebbi l’impressione di una chiamata. In viaggio gli parlai dell’Ideale, poi andammo in focolare e da quel giorno a Pisa fummo in due.

Fra i colleghi dello staff venuti da Milano ce n’era uno particolarmente vivace ed intelligente che, abituato al dinamismo di Milano, mordeva un po’ il freno in una città tranquilla come Pisa. Si sfogava così a correre in macchina. Naturalmente non gli piaceva essere da solo e gradì molto la mia compagnia in alcuni viaggi-corsa nelle città vicine. Quando mi chiese come mai non avessi paura di salire in macchina con lui, dato che nessuno – a cominciare dalla fidanzata – ci andava volentieri, gli parlai di Gesù nel prossimo e dell’amore che cercavo di avere per ognuno. Capì subito molto più di quello che pensavo – capì anche che non poteva mettere a repentaglio la mia vita – e cambiò molti suoi comportamenti, sia nel modo di guidare sia di trattare con i pazienti e si fece banditore – opportune et importune – della “novità” che lo aveva colpito. Più tardi notò il rapporto che avevo con Publio e… fummo tre. Seguirono poi Lucio e Flavia ed in poco tempo la clinica divenne un centro di vita per la nascente comunità di Pisa.

Lucio era fidanzato – fidanzato “grave”, dicevano scherzosamente i colleghi che, conoscendo la sua serietà, vedevano iniziato in lui un processo ormai irreversibile – e naturalmente fece conoscere lo spirito che ci legava alla sua ragazza, e lei ne parlò in famiglia. Fummo allora tutti invitati a un thé, nel corso del quale con l’entusiasmo – e l’imprudenza – dei neofiti qualcuno parlò di lasciare padre, madre… e fidanzata. La cosa spiacque ai genitori, soprattutto alla madre che vedendo che svaniva il matrimonio della figlia (Lucio rappresentava un ottimo partito) divenne ben presto una accanita avversaria del Movimento, e ne parlò a tanti, a conoscenti e a non conoscenti, a sacerdoti e a carabinieri, alle persone presso cui faceva la spesa e al portiere della clinica dove io lavoravo.

Eolo Giovannelli

Il risultato fu che in breve tempo tutti a Pisa – e anche fuori – seppero di noi e molti, volendo accertarsi personalmente, conobbero il Movimento.

Eolo Giovannelli e Igino Giordani

Eolo Giovannelli e Igino Giordani

Avvenne così di un sacerdote salesiano che ci invitò a parlare ai ragazzi dell’Oratorio – e quella sera “nacquero” Umberto Giannettoni e Vittorio Della Torre. Avvenne così del parroco di San Frediano a Settimo che ci presentò a una sessantina di persone riunite nel teatrino della sala parrocchiale – e alcuni divennero sostenitori entusiasti del Movimento. Ci conobbero anche a Livorno, all’Accademia Navale, e a Lucca, dove un giorno fui accompagnato presso un giovane paralizzato, Eolo Giovannelli, che fu subito profondamente colpito dalla nostra vita.

Qualche mese più tardi, Eolo, per una grave intossicazione, fu ricoverato nella clinica dove lavoravo. Era in coma e i medici del reparto dissero che non c’era nessuna probabilità di salvarlo. Avvertii tutti quelli che ci conoscevano, a Pisa, a San Frediano, a Livorno perché pregassero e facessero pregare, e io stesso mi recai nella chiesa dei Galletti dove l’Eucarestia è continuamente esposta. “Non mi sembra giusto – dicevo – che muoia così presto… l’incontro con il Movimento è appena avvenuto… non ha ancora avuto modo di testimoniarlo e di portare frutti… però, Signore, sia fatta la Tua volontà”.

Rientrato in ospedale, Eolo aveva ripreso coscienza e i medici erano ora ottimisti perché “aveva reagito bene alle cure”.

Eolo Giovannelli

Eolo Giovannelli

Da quel giorno Eolo divenne un punto di incontro per moltissimi giovani che, a volte, invadevano letteralmente la clinica, stipandosi in portineria quando non si poteva entrare in sala, o rifugiandosi nella mia stanza, in attesa che io li accompagnassi da lui. Naturalmente, il responsabile di tanto via vai fui ritenuto io, soprattutto perché all’ora dei pasti ero spesso in ritardo o, peggio ancora, condividevo il mio cibo con qualche ragazzo venuto da lontano per conoscere Eolo.

Questo creò qualche difficoltà col personale della clinica, ma fu anche l’occasione per constatare che nel nostro modo di vivere c’era qualcosa di nuovo che stava cambiando l’intero ospedale.

Se ne accorse anche un medico di La Spezia, Enrico Cavallini, venuto a Pisa per chiedermi di frequentare, come osservatore, la scuola di anestesia che intanto io avevo iniziato. Appartenendo egli a un’altra scuola e rappresentando quindi un futuro concorrente, si attendeva di non essere bene accolto. Ma l’atmosfera che trovò in clinica lo prese a tal punto che, nel giro di pochi mesi, cambiò il suo comportamento esterno, le sue convinzioni ideologiche e religiose.

“Ora credo in Dio – disse un giorno – non perché me ne avete parlato, ma perché stando con voi io sono totalmente cambiato e riconosco vere tante cose della religione che conoscevo fin da ragazzo ma che non avevo mai visto praticate”.

La prima ad accorgersi di questo cambiamento fu naturalmente la moglie che ne parlò ad altri, e così il Movimento fu conosciuto anche a La Spezia.

Umberto e Vittorio, cui si erano aggiunti altri dell’Oratorio dei Salesiani, manifestarono ben presto il desiderio di poter partecipare ogni giorno alla Messa, ma la cosa fu ostacolata dai genitori che non capivano il cambiamento dei loro figli. Ci fu perfino chi parlò di “mania religiosa” e si strinsero i freni. Risultato: i ragazzi scappavano di casa, mettevano avanti gli orologi per uscire prima, rinunciavano alla colazione per poter ricevere l’Eucarestia. La Domenica poi tutti partivano, in treno, in autostop o con mezzi diversi, per Firenze, per passare almeno qualche ora in focolare.

Mi distesi… sul tavolo

Il focolare maschile, dopo una sistemazione provvisoria in casa della mamma di Vita – che in quel tempo si trovava a Roma – si era stabilito in due stanzette prese in affitto, in Via Del Prato, e due focolarini vi erano venuti a vivere.

Il locale era più che modesto: un unico vano diviso in due stanzette, con un unica finestra. C’era un lavandino, che serviva per tutti gli usi, e due lettini che durante il giorno erano utilizzati per sedervisi. C’era poi una specie di poltrona che serviva per dormire quando si superava il numero di due.

La prima volta che trascorsi la notte in focolare vi dormii sopra io. E quando, il fine settimana successivo, portai in focolare un giovane di Pisa interessato a conoscere il Movimento, la poltrona servì per lui e io mi distesi… sul tavolo.

Guardando ora, a distanza di anni, questi “primi tempi”, tante cose possono sembrare strane, e certamente anche allora apparivano tali a chi guardava dal di fuori. Ma, vissuta dal di dentro, questa esperienza era semplicemente “nuova”, della novità del Vangelo, era la risposta a una chiamata a vivere insieme – anzi, in unità – il messaggio di Gesù secondo il modello che ci offriva Chiara e le sue prime compagne.

Intanto a Pisa la scuola di anestesia si faceva un nome e da Milano venne un giovane medico, Giuseppe Tradigo, che chiese di poter frequentare il corso che io tenevo. Bastarono pochi giorni perché Pino (così fu chiamato subito, famigliarmente) non solo fosse sempre presente alle mie lezioni e al mio fianco in sala operatoria, ma non mi lasciasse mai solo. E siccome ogni mattina mi recavo alla Messa, venne anche lui, e agli incontri del Movimento, a Pisa, a Livorno, a Firenze, partecipò sempre. Ben presto sentì che il focolare lo attirava e – comunicata la cosa ai genitori e disdetti gli impegni professionali che avrebbero potuto condizionare la sua completa disponibilità – vi portò le poche cose di sua proprietà e entrò a far parte della comunità.

Un incontro col Vescovo

Tutti questi fatti, di cui l’intera Pisa era a conoscenza, furono l’occasione di un incontro col Vescovo, dal quale mi recai con un focolarino di Firenze.

All’inizio, Mons. Camozzo era molto serio: troppe cose aveva sentito dire – e non tutte esatte – sul conto dei focolarini. Ma, a mano a mano che io gli raccontavo come cercassimo di vivere il Vangelo, si rasserenò, fece molte domande e approvò tutte le mie risposte. Soprattutto fu colpito quando apprese che di focolarini, a Pisa, c’ero solo io. Ciò che era avvenuto nella sua diocesi non era certo proporzionato alla presenza di una sola persona che, oltre tutto, passava la sua giornata quasi interamente in sala operatoria!

Gli chiesi se pensava di darci un sacerdote come assistente, ma rispose che non ce n’era bisogno. “Continui con le sue ispirazioni – mi disse – io sono contento così”.

La clinica chirurgica era diventata il punto di riferimento di quanti, a Pisa, volevano vivere lo spirito del focolare. Io, più che potevo, cercavo di incontrarmi con loro fuori dal recinto dell’ospedale, ma non sempre era possibile.

Un signore che voleva uccidermi

Un giorno venne a trovarmi una ragazza di una città vicina che aveva sentito parlare del Movimento e voleva sapere tante cose. La ricevetti in portineria e per circa mezz’ora risposi alle sue domande. Se ne andò molto contenta, anzi, entusiasta.

Due settimane più tardi il portiere mi fece sapere che, durante una mia assenza, si era presentato un signore chiedendo di me, con un fare agitato e aggressivo. Veniva dalla stessa città della ragazza, ma io non associai le cose.

Lo stesso giorno, mentre mi trovavo in sala operatoria, il portiere mi avvertì che quel signore era tornato e mi attendeva. Risposi che sarei stato libero solo dopo due ore e continuai il lavoro. Viceversa l’intervento terminò prima del previsto, e siccome Enrico, che abitava a La Spezia, mi chiese se potevo accompagnarlo subito al treno, io salii subito in macchina, passando dal sottosuolo cui si accedeva direttamente dalla sala operatoria, e partii di corsa alla volta della stazione ferroviaria. Quando rientrai, il portiere mi disse che quel signore, vedendomi partire, si era messo a gridare: “E’ scappato, e’ scappato” e aveva cercato di rincorrermi. La cosa mi apparve strana, ma non seppi che cosa pensare.

Il giorno seguente sabato e, dopo il lavoro, andai a Firenze in focolare. Ero appena uscito dall’ospedale che il solito signore si presentò in portineria e, saputo che ero appena partito, esclamò: “Ma mi scappa sempre!” Chiese dove potevo essere andato e il portiere gli diede l’indirizzo del focolare. Senonchè quella sera io avevo una lettera da consegnare al focolare femminile, e mi ci recai subito, appena arrivato a Firenze.

Il signore arrivò al focolare maschile, cercò di me, seppe che non ero ancora giunto e mi attese. Più tardi io telefonai per giustificare il mio ritardo e mi dissero che qualcuno mi aspettava. Chiesi chi era, ma il misterioso signore non volle dirlo; chiese invece lui ai focolarini l’indirizzo del focolare femminile e, saputolo, uscì di corsa senza salutare.

Quando rientrai e mi raccontarono la scena, io riconobbi, dalla descrizione del signore e del suo comportamento agitato, la stessa persona che mi aveva già alcune volte cercato a Pisa. Non lo associai però ancora alla ragazza che una ventina di giorni prima era venuta a chiedermi notizie sul Movimento.

Il collegamento lo feci poco dopo, quando dal focolare femminile mi telefonarono dicendo che il signore in questione era arrivato là cercando, agitatissimo, di me. Saputo che ero appena partito, aveva dato sfogo a una collera disordinata, lasciandosi scappare alcune frasi nelle quali si parlava di “malocchio” del quale sua figlia era stata vittima incontrando un medico di Pisa, malocchio da cui egli voleva liberarla uccidendo il suddetto medico. Per attuare questo progetto, si era licenziato dal lavoro riscuotendo la liquidazione, che aveva consegnata alla moglie prevedendo che sarebbe finito in prigione, somma dalla quale aveva trattenuto solo il necessario per acquistare una rivoltella… Ma il medico sempre gli sfuggiva.

Le focolarine cercarono di calmarlo, si fecero dire in cosa consistesse questo malocchio e seppero che la ragazza aveva improvvisamente cambiato modo di fare: prima si vestiva con eleganza, partecipava a feste da ballo, le piaceva essere corteggiata, mentre ora si vestiva modestamente, non usciva più alla sera, parlava di lasciare la famiglia e di non volersi sposare.

Le focolarine dissero che certamente si trattava di un malinteso e, non so come, riuscirono a convincerlo che tutto poteva risolversi in modo diverso da quello che lui pensava.

“A questo punto – mi spiegò una focolarina al telefono – il padre chiese come garanzia che tu non incontrassi più sua figlia. E io – continuò – gliel’ho assicurato, supponendo che tu fossi d’accordo”. Io certo ero d’accordo, ma dato che era stata la ragazza a incontrarmi di sua iniziativa, non ero affatto sicuro che non l’avrebbe fatto ancora. Per cui vissi alcuni giorni non tranquillo… e ogni volta che il portiere mi diceva al citofono che qualcuno mi aspettava all’ingresso, mi preparavo al peggio.

Invece la cosa non ebbe seguito. Qualche mese più tardi seppi che la ragazza si era fidanzata, con grande soddisfazione dei genitori e che il padre aveva ripreso il lavoro restituendo la liquidazione. Per me però fu un’esperienza profonda, che comunicata e sofferta insieme a tutta la comunità, ci strinse ancora di più fra noi e contemporaneamente fece conoscere ad altri il Movimento.

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About Luca Tamburelli

Sposato e padre di fue figli, vivo in Francia, a Annonay, presso Lione. Sono amico di Maras e di moltissimi suoi amici.