Articolo su Alfio Po su Città nuova N.22 del 25 novembre 2003 pag. 48 – 49
Nessuno mi è estraneo
(a cura di Alfredo Zirondoli)
Si può non aver conosciuto Alfio Po ma è sufficiente soggiornare qualche giorno a Carpi, l’industriosa cittadina emiliana dove egli è nato e vissuto, per rimanere impressionati da ciò che egli è stato e ha fatto. Padre di dieci figli, imprenditore apprezzato e geniale, per anni responsabile della ditta “Angelo Po – Grandi cucine”, nota non solo in Italia per la qualità dei suoi prodotti e per il rapporto “di famiglia” fra quanti vi lavoravano, Alfio Po è stato un punto di riferimento per molti, un cristiano che ha testimoniato come la fede in Dio possa informare tutte le espressioni della vita. Su di lui è appena uscita una biografia dal titolo “Nessuno mi è estraneo”, a cura di Alfredo Zirondoli (Città Nuova Ed.) per la quale hanno collaborato i figli, i nipoti, i generi, le nuore e molti che hanno lavorato con lui e che da lui hanno ricevuto aiuti materiali e spirituali. Di essa presentiamo qui alcuni brani.
Era una sera fredda e nebbiosa del dicembre ’90 quando Alfio, incontrando un imprenditore suo amico gli confidò di aver saputo poco prima che alcuni extracomunitari dormivano in un’auto perché non avevano altro luogo dove riposare. E si era subito domandato che cosa fare. Alfio era così: non si chiedeva cosa dovevano fare “gli altri” ma pensava invece cosa poteva fare lui.
Era abituato infatti, lui profondamente credente, a considerare l’umanità come un “corpo” e ricordava bene l’insegnamento di san Paolo: “Siamo membra gli uni degli altri”. Nessuno quindi gli era estraneo, e quegli extracomunitari erano il prossimo da amare come se stesso. Con l’immediatezza quindi che lo caratterizzava formulò subito una proposta: “Potremmo costruire delle case per loro”.
L’amico avvertì immediatamente la portata di questa iniziativa (trovare il terreno, i mezzi per costruire le case, ottenere le autorizzazioni, ecc.) ma si prestò subito a collaborare. Ne parlarono ad altri amici e… iniziarono i lavori: telefonate, colloqui col sindaco e con gli amministratori del Comune, lancio dell’iniziativa per la raccolta di fondi, ricerca di un luogo in periferia, dato che nessuno gradiva la vicinanza di extracomunitari. E nel giro di alcuni mesi ecco sorgere quattro casette prefabbricate perfettamente arredate con tutti gli allacciamenti funzionanti (luce, acqua, gas, scarichi).
Alfio non era uno “nato bene” o un “fortunato”, ma uno che aveva piegato la sua natura indirizzandola verso valori che per molti restano ideali lontani e scomodi. Un uomo che operava continuamente una mediazione fra ciò che gli veniva dal suo rapporto con Dio e quanto potevano capire coloro che gli vivevano accanto. E’ questo infatti il “lavoro” di un vero cristiano: tradurre in idee comprensibili e in opere visibili ciò che lo Spirito invisibile suggerisce alla mente e al cuore.
Della sua fede in Dio e nella Provvidenza non parlava, ma era l’atmosfera che si respirava nella sua azienda. Al massimo si limitava a dire, mentre girava per la fabbrica distribuendo ottimismo a tutti: “Vedrete che qualcuno ci aiuterà”. Affermazione sulla quale c’era spesso qualcuno che ironizzava: “Vedrai che verrà l’arcangelo Gabriele e ci porterà un’ordinazione”. Poi invece non veniva l’arcangelo Gabriele, ma l’ordinazione arrivava regolarmente.
Anche il suo ottimismo non era solo una qualità naturale, e la sua capacità di cogliere spesso nella difficoltà e nei problemi, che potevano bloccare altri, sfide positive per sviluppi futuri erano la conseguenza della sua fede continuamente alimentata dai Sacramenti e dall’esercizio dell’amore cristiano.
Un giorno si presentò in fabbrica, fra lo stupore di tutti, un Cardinale dell’est europeo che voleva conoscere personalmente Alfio e ringraziarlo per quanto aveva fatto a favore del suo popolo.
E Lubomir Ladvenica, uno slovacco che venne in Italia negli anni ’80 per motivi culturali, racconta: “Pensando che io avrei volentieri visitato Roma mi ha procurato un volo da Bologna a Roma. Io ero al mio primo viaggio in aereo e avevo una paura tremenda, per cui chiesi molte volte a lui che ora fosse. Alfio notò evidentemente che non avevo l’orologio e al momento del mio rientro in Slovacchia me ne regalò uno bellissimo che conservo tuttora”.
Quando morì la moglie Teresa vegliò la salma tutta la notte e a un’amica di famiglia che gli diceva: “Alfio, io so che cosa hai perso…” rispose: “Teresa è stata per me moglie, sorella, amica, compagna. E’ stata tutto. Mi ha dato una famiglia meravigliosa, mi ha colmato d’amore.
“Io non posso che ringraziare Dio di avermela data. Vuoi che ora mi metta a recriminare perché mi è stata tolta? Si deve accettare quello che Dio manda, e non può certo mandarci solo quello che ci piace. Se ti dà ringrazialo, se ti toglie ringrazialo ugualmente. Come Giobbe: Il Signore ha dato, il Signore ha tolto; sia sempre benedetto il nome del Signore”.
Alfio avrebbe voluto che Teresa fosse vestita tutta di bianco e a qualcuno che non lo riteneva opportuno replicò: “Allora almeno la camicetta, perché vostra madre ha fatto undici figli, ma è sempre stata una ragazza pulita. Per me deve essere vestita di bianco perché è come il giorno che l’ho sposata”.
E oltre alla camicetta furono bianchi anche i paramenti liturgici nella Messa di esequie che fu celebrata per lei.
Fra le carte di Alfio, dopo la sua scomparsa, si è trovata una preghiera senza data che risale probabilmente a quando i figli erano ancora piccoli.
“Quando la sera, Signore, passiamo nelle camere dei nostri figli e vediamo sul loro volto un senso di serenità profondo, li benediciamo: e ce ne andiamo in silenzio, anche noi rasserenati.
“E’ tanto difficile essere genitori. E’ difficile capire quando dobbiamo rispettare la loro volontà e quando dobbiamo intervenire con la nostra esperienza, con la nostra maggior saggezza a indirizzarli, a spronarli, a richiamarli, a castigarli.
“Sentiamo il bisogno indispensabile della tua presenza, Signore, sulla nostra casa! Vedi, Signore, non vogliamo essere dei pusillanimi, dei dittatori, degli isterici, dei conviventi con i nostri figli; vorremmo essere espressione della tua intelligenza, della tua paternità, ma soprattutto della tua carità.
“Occorre che tu ci dia la forza fisica e spirituale per fare la tua volontà, non ciascuno per conto suo, ma noi genitori assieme, e assieme ai nostri figli nella nostra piccola chiesa domestica.
“Tu sei Padre, non puoi abbandonarci in così difficile impresa. Sentiamo davvero un grande, immenso bisogno di te. Per questo oggi chiediamo la tua benedizione in mezzo a noi, sempre!”.
Sulla lapide del piccolo camposanto dove il corpo di Alfio riposa è stata posta una sua foto sorridente e un versetto di un Salmo: “Io sono tranquillo e sereno come un bimbo in braccio a sua madre; Come un bimbo svezzato è l’anima mia”.