Splendido articolo tratto da Città Nuova • n.2 • 2009 – non essendo più sul sito di Città Nuova , lo pubblico qui.
Aveva seguito Chiara Lubich già nel 1949. Intelligenza vivissima, promessa della medicina, Alfredo Zirondoli si dedicò a formare “uomini nuovi”.
Quando muore qualcuno della nostra famiglia è sempre una parte di noi che se ne va. Ma è anche una parte di noi che arriva alla mèta. “Maras”, come lo aveva chiamato Chiara indicandogli in Maria Assunta il suo dover essere, è arrivato ora lassù, e ci piace pensare che sia stata proprio la Madonna ad aprirgli la porta». Così Marco Tecilla, il primo focolarino, apre il discorso commemorativo ai funerali di Maras. Anche noi continueremo a ricordare Alfredo Zirondoli con questo nome a tanti noto.
Maras nasce a Carpi, nel modenese, il 31 maggio del 1926 da Livio Zirondoli e Albertina Violi. La giovane coppia stava attraversando un momento non facile perché il padre era rimasto senza lavoro e fu la madre, maestra elementare, che, dedicandosi all’insegnamento, riuscì ad assicurare la sufficienza economica alla famiglia. Ne parliamo perché l’influenza di questa donna, di cui, come sappiamo, è avviato il processo di beatificazione, fu davvero grande nella formazione del giovane Alfredo. Più tardi sarà lui stesso che, ricordando la storia della madre, tratteggerà in un agile volumetto quella vicenda che anch’egli condivise e che lo portò a sperimentare l’amore di Dio fin dalla prima infanzia. Sapremo così che, mentre il padre riponeva nel figlio dall’intelligenza vivida le pur lecite ambizioni di un successo umano, magari accademico, che già si delineava, Albertina donava il figlio a Dio.
Dotato di intelligenza fervida, pur con le difficoltà legate alla guerra, Alfredo potè completare brillantemente gli studi perfezionandosi alla Bocconi di Milano in anestesiologia a soli 23 anni, diventando il medico più giovane d’Italia. È in questo periodo che, con un gruppo di professionisti che abitualmente frequentavano la mensa del card. Ferrari a Milano, Alfredo incontra Ginetta Calliari, una delle prime compagne di Chiara. In pochi giorni aderisce alla nuova vita trovata e poco più tardi, col trasferimento a Pisa diventa un irradiatore di essa.
Lo ricorda bene Lucio Dal Soglio, a quel tempo assistente in clinica chirurgica all’Università di Pisa. «Il prof. Zirondoli – racconta – era venuto da Milano per installare il servizio di anestesia presso la clinica con annesso corso di studi in anestesiologia per la specializzazione.
«Per le sue qualifiche e per il fatto di non avere rivali, era un personaggio rispettato e godeva di libertà di movimento e di decisione. Insomma, era uno che aveva davanti a sé una carriera brillante e che in breve tempo, con dinamicità, aveva fatto funzionare servizio e scuola». Attorno a lui si formò subito anche una comunità dei Focolari, sia all’ospedale, sia a Pisa che nei paesi vicini.
Umberto Giannettoni, ora a Loppiano, ha ancora ben presenti quei tempi:
«In un circolo sportivo dei salesiani – ricorda –, fu invitato un giovane primario di anestesia a tenere una conferenza. Ci raccontò un’affascinante serie di episodi, frutto del suo impegno di vivere il Vangelo nei rapporti quotidiani con malati, infermieri, medici e quanti aveva occasione di incontrare ogni giorno. Si poteva cercare di vivere la Parola, trasportare il Vangelo nella vita quotidiana, nei rapporti di ogni giorno. Una scoperta che mi aprì un orizzonte nuovo e che cambiò completamente la mia vita, come aveva cambiato la sua».
Entrato con armi e bagagli in una comunità dei Focolari, a Firenze nel ’54, Maras divenne poi uno dei pionieri della diffusione del movimento in Francia, Spagna, Portogallo, Inghilterra, Irlanda e Algeria. Dal ’66 per 15 anni fu poi responsabile della cittadella di Loppiano, insieme con Renata Borlone, contribuendo a formare varie generazioni di focolarini.
Le testimonianze non si contano a questo proposito: «Maras era un vero leader e sapeva interessare anziani e giovani alla sequela di Gesù. Le sue meditazioni erano semplici e sapienti. Ma non sono mancate anche difficoltà, incomprensioni… Ricordando quei momenti, mi confidava che mai aveva
avuto risentimenti verso chiunque, ma piuttosto avvertiva l’intervento amoroso da parte di Dio che voleva manifestargli la sua predilezione. Mi diceva tutto questo con un’aria pacata e serena, segno evidente del dolore consumato».
Un altro: «Costruiva l’unità quando non c’era, assumendo su di sé il dolore, e la generava col suo amore, senza fare rimproveri». Ancora: «Sottolineava il positivo. Era così grande il suo amore, che ciascuno capiva cosa dovesse cambiare nella propria vita».
Valerio Ciprì, uno degli iniziatori del Gen Rosso, ci dice: «Maras ha sostenuto con tutto l’impegno il Gen Rosso fin dal primo istante della sua nascita. Ci seguiva in ogni nostro spostamento, parlando ora con l’uno ora con l’altro, perché avessimo sempre lo sguardo rivolto a Gesù abbandonato che ci faceva superare le non poche difficoltà incontrate.
«Maras – continua Ciprì – suonava il violino e il pianoforte, quindi conosceva bene la musica. Ci insegnava come ascoltarci, come affiatarci nelle voci, come armonizzare ciascuna voce con quelle degli altri senza prevalere. Era in realtà un modo per insegnarci la cosa più importante, che era quella di saper convivere con gli altri nella vita di unità accogliendo, servendo, mettendo in
luce gli altri, facendo da sfondo, stando in silenzio quando occorreva, facendo da cassa di risonanza».
Dall’81 all’86 assieme a Palmira Frizzera, Maras ha dato inizio alla cittadella di Montet in Svizzera:
«C’era con lui un rapporto fondato sull’unità nella verità di cui lui è sempre stato riconoscente», ricorda lei. E, facendo riferimento ad alcuni momenti particolari di prova che Maras ha vissuto: «Non si è mai lamentato. L’ho sentito sempre nell’amore. Questa fedeltà a Dio e a Chiara, nonostante tutti gli abbandoni della sua vita, lo hanno portato alla santità. Di questo io nesono sicura».
Giovanni Battista Dadda, responsabile del Gruppo editoriale Città Nuova, ha conosciuto Maras fino dal 1958, condividendo con lui anche per lunghi periodi la vita di focolare insieme a Guglielmo Boselli, già direttore della nostra rivista: «Nel 1958 a Milano, quando era giovane docente universitario alla facoltà di medicina, mi colpì come viveva la professione. Stupiva la sua capacità di creare armonia nei rapporti con i colleghi, anche nelle emergenze e la sua attenzione per i pazienti, perché sentissero che era loro vicino per l’intervento chirurgico, preparandoli con le informazioni necessarie e con una vicinanza affettuosa. Lo caratterizzava allora, come in tutti gli anni successivi, la capacità un po’ unica di trasmettere le realtà spirituali con una luce e una sapienza che coinvolgevano e affascinavano.
«Il suo rapporto con le persone era accogliente e diretto: diveniva stabile, coltivato con fedeltà. Aveva una schiera innumerevole di amici, di fratelli di diversa estrazione sociale e dai cammini spirituali più vari. Il legame vero consisteva nel ritrovarsi insieme in un rapporto con Dio rinnovato e purificato dagli eventi della vita. Sapeva trasmettere il fascino dell’avventura di essere cristiani».
Dal 7 gennaio del 2000 Maras cominciò a scrivere a Chiara l’andamento di una grave malattia che lo aveva colpito. Scriveva un giorno: «Voglio dirti grazie perché mi sostieni e mi illumini in questo momento del mio Santo Viaggio». Chiara gli rispondeva con frasi che diventavano il suo riferimento: «Gesù in mezzo a noi continui ad accrescere in te la certezza che tutto è amore suo!».
DAL VIVO
Io stesso, che ho raccolto giorno dopo giorno queste testimonianze, mi rendo conto di aver assistito a un vero percorso di santità. Ogni giorno stava diventando più palese che la malattia non sarebbe regredita. Periodi di forti dolori si alternavano a brevi parentesi di tregua, ma ogni volta che si tentavano nuove cure, i danni collaterali vanificano il poco sollievo che queste producevano. Con tutto ciò, Maras cercava di non pesare in alcun modo su quanti vivevano con lui, sforzandosi di rispettare le esigenze di tutti e interessandosi della salute di ciascuno. La vita poteva dunque procedere nella normalità, rivolta sempre verso gli altri. E gli altri che si rivolgevano a lui erano tanti. Quante telefonate, quante visite, quanta corrispondenza! Il 14 novembre scorso, invitato a dare la sua esperienza alla comunità del movimento di Lucca, già gravemente debilitato, diceva: «Bisogna sfruttare bene gli ultimi momenti che ci sono nella vita. Il mondo cerca continuamente di distrarci con cose che non valgono; e invece noi dobbiamo impegnarci, perché… Gesù s’è impegnato; i cristiani, i martiri si sono impegnati; i santi si sono impegnati. E alla fine della vita ci sarà chiesto conto di cosa abbiamo fatto. Poi, la ricompensa sarà abbondante».
E continuava così: «Nel mio primo incontro col movimento rimarsi folgorato quando una focolarina, parlandomi dell’ideale dell’unità, mi aveva detto: “Gesù era sempre unito al Padre”. L’aveva detto lui. Però, sulla croce ha gridato: “Perché mi hai abbandonato?”: evidentemente non sentiva questa unità col Padre. E quella sera ho detto: “Se Gesù ha amato così, senza aspettarsi niente, senza aspettare che il Padre rispondesse… io voglio vivere così!”. Ho fatto tante cose nella vita, ho girato tante parti del mondo; ma l’unica cosa che conta è che ho cercato di non aspettarmi mai niente, ma di amare sempre per primo. E più sono andato avanti nella vita dell’ideale, più mi sono accorto che Maria è sempre associata a Gesù, sempre. Quindi, amare “Gesù abbandonato” e vivere “Maria desolata”, sono cose che vanno insieme».
L’ultima lettera è stata scritta a Maria Voce, la nuova presidente dei Focolari: «Sono al limite delle forze, però, come vedi, posso pensare, scrivere, ringraziare te, e in te tutti coloro che hanno pregato per la mia salute… La mia vita, la mia preghiera e la mia offerta quotidiana saranno per voi, con voi e in voi».
È partito per il Cielo il 31 dicembre 2008.
Da quel momento continuano a giungere da ogni dove attestati di riconoscenza nei confronti di Maras per ciò che il suo consiglio, la sua testimonianza di vita hanno rappresentato per tanti. E questa rugiada di Paradiso lo fa sentire ancora presente in mezzo a noi.
Giuseppe Garagnani
43 Città nuova • n.2 • 2009