Questa testimonianza di Gianni Ricci è tratta dal libro autobiografico “L’AVVENTURA DI UN Sì”
Quando sono arrivato a Loppiano il primo lavoro l’ho fatto come autista per Aurelio Lagorio dal momento che non aveva ancora la patente di guida. Aurelio era un giovane semplice, innamorato della vita: soprattutto innamorato di Dio. Ma non aveva la testa fra le nuvole: infatti era diventato ben presto il responsabile della prima azienda sorta nella Cittadella. Alla fine dell’anno 1967 venne terminato un altro capannone per spostarvi tutto il lavoro della cernita dei ritagli di stoffa – gli “stracci”. Aurelio organizzò tutto questo settore e lo rese molto efficiente: aveva 21 anni. Leggendo i suoi scritti sembra di vedere come in un libro aperto il suo essere profondamente cristiano.
“Noi cerchiamo di costruire questa città amandoci gli uni e gli altri come ha detto Gesù. Conoscendoci e penetrando ogni popolo nel cuore dell’altro popolo e unendoci a una catena d’amore in ciò che uno ha di positivo e lasciando dietro le spalle tutto il resto. Per questo noi vediamo un solo popolo, il popolo di Dio. Qui impariamo soprattutto a volerci bene con la misura che Gesù ha avuto, pronti a dare la vita l’uno per l’altro e creare tra noi un rapporto veramente da fratelli. Diventa così un Paradiso la nostra vita. Anche se ci sono delle difficoltà; sono superate insieme, con amore profondo alla Croce. Si crea così fra di noi una vera famiglia”.
Io lo accompagnavo in auto a contattare i dirigenti di diverse fabbriche di tessuti da San Giovanni Valdarno, a Prato e a Carpi; c’erano diversi amici del Movimento che lavoravano in quelle fabbriche. Per me questa fu una bella esperienza, perché vissuta con Aurelio nella concretezza del lavoro, ma anche tanto nel soprannaturale. Molte volte arrivava prima di tutti sul lavoro e si fermava sulla porta per vedere chi arrivava in ritardo: non era pignolo, ma voleva far bene ogni cosa, dato che quel lavoro rappresentava per noi la cosa più preziosa: era ciò che Dio voleva da noi in quel momento.
Tra le tante esperienze fatte con lui ne ricordo due molto belle.
Si era in viaggio verso Prato e normalmente in macchina si recitava il rosario. Giunti a Firenze Nord, io intravidi Prato e in quel momento pensai: “Si va a incontrare degli industriali che sono molto ferrati nel loro lavoro e alle volte approfittatori; e noi, così inesperti. come possiamo competere con loro?”. È stato il pensiero di un attimo mentre io aspettavo che lui rispondesse: “Santa Maria…”. Invece silenzio. All’istante ho sentito che mi ero distratto con la mente mentre pregavo, invece lui era tutto assorto nella preghiera a Maria, senza preoccuparsi di nulla d’altro. Appena mandati via questi pensieri, lui ha continuato a pregare “Santa Maria, Madre di Dio…”. È stata una bella lezione su come vivere bene l’attimo presente, nell’unità.
Un’altra volta Domenico, che era l’economo della città, era un po’ preoccupato: quella settimana era crollato il prezzo di mercato dei polli – l’allevamento dei polli era un’altra attività lavorativa in Loppiano -; non c’erano state entrate e si doveva pagare una cambiale, che altrimenti sarebbe andata in protesto con gravi danni per l’azienda. Allora con Aurelio si andò con un campione di stracci di mezza lana da un industriale per proporgli la vendita di un grosso quantitativo. Lui guardò il materiale e disse che gli andava bene e dopo aver chiesto quanti quintali fossero, avendo noi riferito che erano pari a un valore di oltre un milione di lire, volle acquistarli subito. Si sapeva che i pagamenti, in genere, gli industriali Pratesi li facevano dopo la consegna con cambiali dai tre mesi fino a un anno e oltre. Aurelio, con una semplicità disarmante che sbalordì me come pure l’industriale, disse che voleva un acconto di 750 mila lire. Ci fu un momento di sospensione, in fondo lui aveva in mano solo una manciata di stracci, ma poi l’industriale estrasse il blocchetto degli assegni e scrisse la somma di 750 mila lire. Dopo essere usciti dall’ufficio, telefonammo a Domenico, il quale, un po’ sorpreso dell’accaduto, ci disse di andare immediatamente a Firenze per bloccare la cambiale che altrimenti sarebbe andata in protesto. Quando mi capitò di raccontare questa esperienza all’incontro della comunità di Prato, dove quasi tutti lavoravano nel settore tessile e conoscevano bene questo industriale, rimasero sbalorditi fino a non credere che avesse dato i soldi prima di avere la merce in fabbrica.
Nel frattempo a Loppiano arrivò alla scuola di formazione per focolarini Carlo Nunziati di Prato che, come perito tessile, fu di grande aiuto per scegliere e distinguere i vari tipi di tessuto. Lui diventò l’autista nei viaggi di lavoro di Aurelio.
Io cambiai settore di vendita: rappresentante dei vari oggetti che il Centro Ave aveva iniziato a produrre, come vasi di ceramica, pannelli ricoperti di iuta con delle figure di angioletti, o altre immagini.
…La terza sera del mio nuovo incarico, trovandomi con Nino Misani nella zona di Milano, da Bergamo giungemmo a Clusone e, mentre si cenava a casa di una famiglia del Movimento, arrivò una telefonata da Loppiano; ci comunicarono che Carlo Nunziati e Aurelio avevano avuto un incidente a Prato e mentre Carlo si era rotto un braccio e aveva ferite varie, Aurelio era in fin di vita con trauma cranico.
In quel momento pensai che avrei potuto esserci io al posto di Carlo, avendo lasciato da soli tre giorni quell’incarico.
…Nel portafoglio di Aurelio fu trovata una lettera incompiuta indirizzata a Chiara Lubich:
“Stasera, poiché sapevamo che partivi per Roma, volevamo farti un dono; avevamo noi stessi, la nostra vita da donarti. Ci è sembrato di capire che attraverso di te questo dono poteva arrivare più in fretta in cielo” .
Chiara, dopo aver letto la lettera, offrì subito a Dio la vita di Aurelio. Poi scrisse: “Aurelio è e resterà il vero frutto di Loppiano. Dio lo colse e lo seminò proprio a Loppiano. E nulla è a caso, perché Loppiano, città dei giovani focolarini, non poteva avere un monumento più indicato”. Aurelio fu sepolto nel cimitero di Loppiano appena venti giorni dopo l’inaugurazione ufficiale della cittadella, avvenuta l’8 marzo 1968. Per un lungo periodo Chiara volle che la cittadella prendesse il nome di “Mariapoli Aurelia”.