19 bis – Meditazione di Maras sulle Letture: “Rallegratevi nel Signore” (2a parte)

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PREMESSA

Quella che segue è una trascrizione da una meditazione di Maras sulle Letture del giorno. Si tratta quindi di una trascrizione di un parlato che espressamente non abbiamo voluto cambiare per rispetto dell’autore ben sapendo che al lettore richiederà un supplemento di attenzione. Maras in queste conversazioni, partiva dalle letture del giorno e le commentava direttamente senza nessun altro supporto se non il Vangelo e l’attenzione di chi ascoltava.

(Vedi la 1a parte qui)

Fiori“Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù”. (Fil. 4, 4-7).

L’altro giorno uno mi diceva: “Più vado avanti, più io sento dentro tante cose che non sentivo prima”. Certo! Più siamo uno con Dio e più sentiamo quanto la natura umana è stata ferita, si vorrebbe ribellare e quanto la natura umana è come un condannato a morte. Prima non lo sappiamo. E invece ce ne accorgiamo dopo, quando conosciamo la vita noi sentiamo che tutto quello che c’è in noi e che ci sembrava bello prima, quello lì finirà. L’intelligenza finirà, la salute finirà, la forza finirà, l’iniziativa finirà, la libertà che uno ha finirà perché sempre più vien condizionato dagli altri, dall’ambiente.

Prima uno non se ne accorge perché è incosciente, perché è uno piccolino, perché uno è addormentato, quasi morto, ma quando veniamo in contatto con la vita che è Dio, con Gesù, col Vangelo e cerchiamo di viverlo, sentiamo che tutto quello che prima ci appariva valido è una cosa che muore, che morirà. Fra sei mesi, fra un anno, fra dieci anni…, ma morirà. E allora non vale più.

Dice San Paolo in altro punto: “Il mondo è un crocifisso per me”. Cioè queste cose del mondo sono condannate a morte. Un crocefisso è uno che sta morendo, morirà fra tre ore o fra un’ora o fra dieci ore, però muore ormai, è in croce … muore.

Quindi tutte queste cose, il mondo con le sue attrazioni, con le sue pompe, con le sue bellezze è un condannato a morte per un cristiano, è uno che morirà. “Sì, sì vai pure, fai, fai, ci rivedremo fra dieci anni, fra venti anni…”. Sì, però venti anni passano e poi muori. E quindi quando uno aumenta in sé l’unità con Dio, con la vita, sente dentro anche il contrasto e quindi ha l’impressione di stare peggio di prima.

Io mi ricordo una volta un focolarino che diceva: “Ma io stavo così bene prima”. Era uno che aveva conosciuto l’Ideale da me ed io l’avevo conosciuto perché con la macchina ero andato a prendere la benzina nel suo distributore. E lui era stato tanto contento quando aveva conosciuto l’Ideale, ma dopo, quando aveva incominciato questo periodo in cui sentiva che tutto crollava e che restava soltanto Dio, ma un Dio un po’ lontano dalla sua vita quotidiana, un Dio che gli domandava di essere sempre contento anche quando non ne aveva voglia, e allora un giorno mi ha detto: “Quel giorno che sei venuto, se ti si fosse forata una ruota della macchina… così non saresti arrivato e non ti avrei conosciuto”.

Dico momento di sincerità, ma non di verità, perché la verità è amore, sempre. Quello, in quel momento, non era amore, era uno sfogo. Tutto questo ci ha suggerito Paolo con la sua epistola ai Filippesi: “Siate contenti, sempre”.

Dici: “Ma come è possibile? Il mondo va male. Io non ho le scarpe calde, ho freddo”. “State contenti sempre”. “Ma come mai il centuplo promesso non viene? Le promesse non si realizzano? “State contenti sempre”. E lo dice due volte: “Nel Signore”.

Chiedere prima Dio, e dopo ai suoi rappresentanti

Non dovete essere contenti perché avete i piedi caldi o perché avete assicurato il posto o perché avete un letto. Dici: “Oh! Finalmente ho trovato il mio letto, so qual è il mio letto, piccolino, certo, però è il mio”. Non siate contenti per queste cose, siate contenti nel Signore. E siccome avete delle necessità, chiedetele. Ma a Dio. Quindi chiedetele al responsabile di focolare, a chi volete, ma a Dio prima, e dopo ai suoi rappresentanti. Il nostro rapporto è con Dio, prima, perché poi alla fine della vita ci troveremo con Dio, non con i suoi rappresentanti. Il contatto sarà diretto. E quindi noi chiediamo a Dio, ci risolviamo dentro i problemi con Dio.

C’era un focolarino che mi diceva: “Sai, sono qui da tanto tempo e tutti sono contenti di me e quando mi chiedono se ho dei problemi io dico di no. Perché – dice – è Gesù Abbandonato (1) e io non ho problemi. Però, siccome tutti gli altri hanno sempre qualche problema da dire, qualche peso da dare, mi viene il dubbio di sbagliare io a fare così”. Io gli ho detto: “No! No! Tu fai bene a fare così, sono gli altri che sbagliano, perché non bisogna dare i pesi, bisogna dare la luce”.

Cioè, un problema bisogna prima risolverlo con G.A.(1) e poi se devi dire qualcosa, devi dire la luce che viene fuori da questo problema risolto. Soltanto se quel problema è così forte che ti impedisce di essere libero, di amare gli altri, allora tu metti in comune anche quel peso, ma sapendo che è un peso, sapendo che è una cosa eccezionale, non sempre si fa così. Solo proprio quando non si può più. Oppure quando c’è una cosa che riguarda un altro; ma personalmente non dobbiamo mai avere dei problemi, non dovremmo mai averne, perché il problema cosa vuol dire? Vuol dire una cosa che non è risolta. Il problema non esiste. Prima c’è il nostro rapporto con Dio, che vuol dire con Gesù, che vuol dire con G.A., cioè con Gesù dolore, con Gesù che anche Lui ha avuto questi momenti difficili e molto più di noi. Allora come ha fatto Lui, allora faccio così anch’io. E dopo amo i fratelli e basta.

Se qualche volta proprio il problema c’è perché nonostante tutto c’è la responsabilità di un altro (io cosa devo dire a quest’altro?). Allora io posso chiedere e quindi do anche il problema, metto il problema in unità. Praticamente do un peso, perché un problema è sempre un peso. Non è mai, un problema, una cosa bella; il problema è sempre una cosa da risolvere. Ora voi, prima di tutto, esponete a Dio le vostre richieste, e non una volta sola, due, tre, quattro volte.

Se siete contenti insieme, il mondo capirà

Come l’ultima frase, ricordiamoci quello che diceva Chiara una volta a una suora che le chiedeva: “Chiara, come si fa ad essere santi?”. E Chiara aveva risposto: “E’ facile, basta essere sempre contenti”. E questo sembra San Paolo che dice: “Siate sempre contenti, sempre”. E gli altri lo vedranno e capiranno. Se siete contenti insieme, dice qua San Paolo, perché parla al plurale, dalla vostra testimonianza il mondo capirà che il Signore è vicino.

San Paolo ha scritto questa lettera dopo che Gesù è venuto, non nell’Avvento (noi la leggiamo nell’Avvento). San Paolo l’ha scritta dopo, quando il Signore era venuto e partito ancora. Quindi “è vicino” non vuol dire: “Sta per venire”. “E’ vicino a voi, è vicino a ognuno” e San Giovanni nell’Apocalisse dice che Gesù bussa alla porta aspettando che uno apra, che ognuno apra.  E se noi stiamo attenti sentiamo bussare, apriamo la porta e Lui viene. Il Signore viene. E il saluto che c’è, mi pare, nella Chiesa Ortodossa è: il Signore viene. Invece di dire buongiorno o addio, dicono: il Signore viene, sta per venire.

Quindi dipende da noi. Come dicevamo l’altro giorno siamo ormai fuori dal tempo, adesso, cioè queste cose sono valide sempre perché Gesù è venuto e ripartito, è rimasto in modo nuovo e quindi noi siamo nell’Avvento, ma anche nella Pasqua, siamo anche nel tempo dopo Pasqua quando il Signore è risorto ed è in mezzo a noi.Fiori

Quindi il Signore è vicino, in tutti i modi in cui noi l’abbiamo detto e ridetto: è vicino nel fratello, è vicino nell’Eucarestia, è vicino soprattutto in mezzo a noi, è in mezzo a noi.

Il Signore viene. Per questo abbiamo motivo di essere contenti sempre, qualunque cosa succeda, qualunque problema abbiamo, qualunque circostanza ci capiti. Quindi quando uno è serio dovete dirgli: “Ciao, come stai?”. Allora lui fa subito un sorriso e dice: “Bene!”.

I primi tempi era una cosa un po’ strana per me tutto questo sentirmi dire tante volte al giorno: “Come stai?” dalla stessa persona “Bene”. Come per dire: “Ma te l’ho già detto!”, perché non capivo che ogni attimo è nuovo. E probabilmente me lo dicevano proprio perché in quell’attimo ero un po’ serio, preoccupato, pensavo alle mie cose, ai miei problemi. E Chiara diceva un giorno che i problemi, soprattutto quelli spirituali, sono continui inciampi, cioè continui ostacoli per non amare.

Ci sono i problemi spirituali: sono in unità, non sono in unità; Chiara mi sente, Chiara non mi sente, tutte queste cose sono continui ostacoli. Ad un certo punto, proprio perché noi tendiamo sempre a Dio, avremo sempre questo problema; siccome noi tendiamo all’unità l’abbiamo sempre, ma non deve essere un problema, ma deve essere una cosa risolta. Il dubbio di non essere è G.A. e quindi siamo in unità. Il dubbio di non essere, il dolore, non la superficialità di dire: “Oh, che bello, va tutto bene!”.

Il segno della vita è il dolore

La nostra tensione all’unità non deve essere così: “Va tutto bene; non sono unito”. Non importa, è G.A. Deve essere un dolore, è una cosa molto seria l’unità, è la vita e quindi stare attenti. Anzi il segno della vita è il dolore. Quando una cosa è morta non sente più male. Quindi se c’è un dolore, allora è un segno che siamo vivi. Guai quando non c’è niente: “Va tutto bene, sto bene, va tutto benissimo”. Allora c’è da preoccuparsi: “Tu sei morto!”. Quindi questo dolore di tendere sempre all’unità, tendere sempre a Dio per essere lieto, sorridente, su sempre: questo è cristianesimo.

Quindi quello che facevano le prime focolarine quando ti chiedevano: “Come va?” era una domanda per essere cristiani. E appena vedevano uno che un pò si guardava dentro, dicevano: “Guarda fuori, guarda fuori. Non guardare dentro”. Se guardiamo dentro di noi troviamo solo delle cose innominabili. C’è di tutto dentro di noi. Se guardiamo fuori, invece, guardiamo Gesù. Poi, dopo, quando abbiamo l’esperienza, ma l’esperienza di anni, di guardare a Gesù, possiamo anche guardare dentro, a Gesù dentro. Ma Chiara per 30 anni ha detto a tutti sempre di guardare fuori e dopo 30 anni ha detto: vivere dentro. Prima diceva: vivere fuori. Non voleva che nessuno preparasse mai un discorso, mai un raduno: “Vai là, vivi fino all’ultimo momento e quando sei là, parla”. “Ma io mi devo preparare…”. “No! Vivi. Ama il prossimo che è con te per strada, ama il prossimo che vedi, ama, non prepararti. Quando sarà il momento lo S.S. ti darà parole sue”.

Cinque anni fa Chiara ha detto: “Vivere dentro, prepararsi i discorsi”. Chiara adesso li scrive, li prepara e poi li dice alle focolarine. E’ tutta una cosa nuova; per noi è stata una cosa nuovissima quando Chiara ha iniziato questo nuovo metodo di vivere l’Ideale. Si preparava i discorsi, li diceva alle pope, li confrontava con Gesù in mezzo, diceva che come il santo Eymar stava tante ore davanti all’Eucaristia e prima di fare qualsiasi cosa, dire qualsiasi discorso, lui lo preparava con Gesù (tanto che diceva che cuoceva il pane al fuoco dell’Eucaristia, come il pane che si mette al fuoco, il suo pane, il suo discorso che doveva fare, lo cuoceva, lo preparava al calore di Gesù Eucarestia).

Ecco Chiara dice: noi dobbiamo cuocere il nostro pane al calore di Gesù in mezzo. E lei lo fa con le pope, racconta i discorsi alle pope, li prepara, li corregge e poi li legge. Ma era una rivoluzione per noi. Perché noi ci ricordavamo che per 25 anni Chiara invece ha detto: “Vivi fuori, vivi fuori, non pensare al futuro, vivi il presente, ama il prossimo che hai accanto”.

Ecco. Questo perché se noi guardiamo dentro troviamo tante cose: “Ma io sono fatto per sposarmi, io sono fatto per divertirmi, sono fatto per vivere una vita naturale…”.

In Gesù noi troviamo la nostra vera originalità

Se uno guarda dentro, ognuno trova che è fatto per fare una vita… come tutti gli altri, (tra l’altro) di una monotonia spaventosa, ma ognuno si crede originale. Dice: “Ho proprio scoperto che io sono fatto per questa cosa”. Ma anche gli altri sono fatti per questa cosa. “Ho scoperto che io ho delle idee”. Anche gli altri hanno delle idee. Solo che sono sbagliate le tue e anche quelle degli altri.

E invece quando uno guarda fuori e dimentica sé stesso allora trova la sua originalità che è in Gesù. E’ in Gesù che siamo originali. Fuori di Gesù siamo molto monotoni: facciamo tutti le stesse cose, pensiamo tutti di essere i più grandi uomini, i più grandi popoli, la razza eletta, l’uomo più intelligente: “Se io fossi al governo farei tante cose nuove, se io avessi studiato…”. Tutti questi discorsi che si sentono dire anche dalle persone che hanno bevuto vino, dicono gli stessi discorsi, non c’è nessuna differenza solo che lo dicono andando così per la strada. Ma la sostanza di un ubriaco è quella dell’uomo vecchio che dice: “Io sono Napoleone”.

Quindi non è originale, mentre invece in Gesù noi troviamo la nostra vera originalità.

… No. Dio fa ognuno con le sue mani, lo fa apposta e c’è solo lui, così. Ma se noi in Lui ci troviamo ci scopriamo così, ma se noi non ci troviamo in Lui, ma ci troviamo in noi, crediamo di essere qualcuno e invece siamo come tutti gli altri.

1) Gesù Abbandonato, secondo la spiritualità di comunione spiegata da Chiara Lubich, è Gesù che grida in croce l’esperienza di sentirsi abbandonato dal Padre per essersi addossato tutti i peccati e i dolori dell’umanità, secondo Mc.15,36 “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”

 

 

 

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About Luca Tamburelli

Sposato e padre di fue figli, vivo in Francia, a Annonay, presso Lione. Sono amico di Maras e di moltissimi suoi amici.