Il valore del soffrire
Il «giovane medico», a cui accenna Eolo, era uno dei non pochi medici focolarini, i quali, dal loro ideale di carità, traggono l’impulso a curare non meno le piaghe dell’anima che quelle del corpo, a mo’ di Gesù, portatore della Salute. Il focolarino medico si chiamava Alfredo Zirondoli, libero docente dell’Università di Pisa. Era venuto a trovarlo, non tanto come medico, quanto come fratello, come cristiano, a cui faceva pena che un ragazzo stesse solo. Per una scaletta ripida, era salito al primo piano d’una modesta casa, e dentro uno stambugio, stipato di libri, di oggetti vari, con una radio accesa, aveva scorto, più dagli occhi che dalla persona distesa, il ragazzo invalido. Cristiano e medico, non era rimasto impressionato tanto dalla immobilità fisica del paziente, quanto dalla solitudine penosa, sconfinata, in cui quella immobilità era, come un masso tra sterpi, affondata.
Il prof. Zirondoli cercò di strappare Eolo da quell’allucinante disperazione: di chiamarlo alla realtà della vita sociale da quell’isolamento solipsistico: e, per un attimo, forse con l’intenzione solo di rispondere al saluto, Eolo uscì fuori dal suo silenzio tenebroso. Un attimo: perché, tratto da quell’angoscia interiore, che lo radicava nella solitudine, il paziente parve ripiombare subito nella sua contemplazione interiore: quasi il miraggio d’una statua su un cimitero; o forse la continuazione d’un colloquio che da mesi si svolgeva dentro la scorza marmorizzata del suo corpo.
Alfredo capì, e si limitò ad amarlo, cercando di farsi uno con lui, mostrandogli di vedere in lui la persona più interessante e viva fra quante ne erano entrate nello stambugio. In quel momento si facevano al medico più vive che mai le parole di Gesù: «Qualunque cosa farete al minimo dei miei fratelli l’avrete fatta a me». – Quel ragazzo, immobilizzato, sofferente nel corpo e nello spirito, era realmente il minimo. E cercò soprattutto di non pesare con la sua presenza.
Quell’appressarsi a trattare come Gesù comanda evidentemente non era stato inutile: perché, nel congedarsi, si sentì stringere la mano con forza: «Tornerò volentieri, perché mi piace restare con te». Quelle parole del giovane professore destarono un lampo nelle pupille di Eolo. – Illusione? Bugia?… – Scrutando le pupille del nuovo amico, ne scorse la sincerità, e disse, sereno: «Va bene: a rivederci».
E Zirondoli tornò, pur vivendo a una trentina di chilometri di là; e si accese un’amicizia fraterna: una fiamma nuova in quel buio. Essa divenne più vasta via via che presero a venire con lui anche altri giovani del Movimento dei Focolari. Il prof. Zirondoli, a poco a poco, gli medicò le lesioni dell’anima: un’anima che sanguinava, dolorando. Gl’insegnò le verità della Chiesa, quelle con cui il cristiano unisce il suo patire al patire di Cristo in croce e tramuta il dolore in amore: fa di un giaciglio un altare, fa di una paralisi una lode alla gloria di Dio. Gli scoperse una vocazione divina, una chiamata singolare del Signore, il quale chiedeva, a lui, Eolo, non opere artigiane, non impegni civili, non una famiglia operosa, ma un olocausto nuovo e continuo per l’edificazione della Chiesa, concorrendo più di mille e mille altri a completare i patimenti con cui Gesù redime gli uomini.
Fu una rivelazione per Eolo, al quale, – mentre scopriva il senso della sua sventura e del suo trauma, – appariva il volto del Signore, – il Signore piagato e dissanguato sulle ginocchia della Madre Vergine desolata. E mentre capiva il senso della passione di Gesù abbandonato sulla croce e della solitudine dei confessori e dei martiri, di cui non pochi quei giorni pativano nel lontano Oriente, scopriva altresì la Chiesa, come comunanza di anime redente, che gli diveniva comunione concreta, viva, attraverso i compagni, -i fratelli, – di Alfredo (così voleva esser chiamato il professore), i quali erano divenuti anche fratelli di lui, Eolo. Fratelli che gli portavano doni, libri, saluti di amici, ma soprattutto gli portavano il frutto delle preghiere: un amore soprannaturale, in cui la solitudine svaniva, mentre per il loro tramite egli veniva a collegarsi con milioni d’anime in terra e le moltitudini dei beati in cielo.
Scoperse la sua famiglia: fu investito dall’Amore. Di là da quel chiacchiericcio di povere creature, che gli scrivevano spesso cose frivole, sentì la parola profonda, soave, di Maria, dei Santi, del Papa, dei Vescovi…, la famiglia umano-divina, la quale era Cristo stesso, che continuava a convivere con gl’infermi, i peccatori, i figli tutti… E quella scoperta provocò un’esplosione di gioia. Finì il tedio pauroso, finì la tentazione della morte: rientrò la vita. E una vita più abbondante. E per la gioia, il ragazzo prese a cantare. Cantava sempre. Più si avvicinava alla morte e, quasi presentendo le delizie del soggiorno eterno, più cantava, lieto, rasserenante.Attorno a lui, festoso come un angelo, innocente come un bambino, vennero ora volentieri sciami di ragazzi, sì che il lettino suo si trovò di continuo circondato di angioletti: pareva Gesù a Nazareth in mezzo a nimbi di innocenza.
Una gita e una crisi
Eolo era incantato. I Focolarini – con sua lieta sorpresa – non si stancavano. Anzi a un certo momento ebbero l’idea addirittura di trarlo fuori del suo covo e portarlo a fare una gita. Non fu una cosa facile. Quei nuovi amici non erano ricchi: disponevano d’una «Topolino»; e, per farci stare con più agio lui, che era rigido, coi muscoli contratti, smontarono il sedile, sì che potesse distendersi, dacché non poteva piegare le gambe. Poi, perché, anche così disteso, potesse vedere, essi escogitarono tutto un congegno di «rialzi», sì che gli fu consentito di osservare il panorama. Fu una festa: come d’un bambino che scopre il mondo. Tra l’altro scoperse, accanto alla sua abitazione, una casa che non c’era, e poi piantagioni mai viste; ma soprattutto scoperse il fatto non comune di fratelli che non si stancavano di lui e si prodigavano senza conoscerlo, senza criticarlo, né ·criticare altri. Ritornò nella fabbrica, dov’era avvenuta la sua sciagura: gli fecero festa tutti, i vecchi, i lavoratori, i bambini; ma con la festa espressero una palese commiserazione.
«Figlio mio, come sei ridotto!», gemerono i vecchi. «Poveretto, pare morto!», dissero i bambini. Eolo fu ripiazzato dinanzi alla sua realtà, quasi di morto che deambulasse su una povera automobile. Tornò a casa avvilito, esulcerato. Gli amici fecero quanto possibile per ritirarlo su. E i giorni seguenti tornarono. E promossero altre gite.
Un giorno, di colpo, cadde ancora malato, gravissimamente. Da Pisa, Alfredo accorse e lo trovò in punto di morte. Si trattava di una malattia intestinale addominale, di natura imprecisa. Il medico pensò subito di ricoverarlo in una clinica a Pisa: e ivi lo trasportò, senza indugio. Quando il dottore arrivò con quel malato, i colleghi gli chiesero se ricoverava un cadavere. Però, per colleganza, si prestarono a curarlo, a gara, intanto che i fratelli di Pisa accorrevano prodigandosi.
La notte Eolo parve morire. Chiamò l’amico medico e gli bisbigliò: «Alfredo, vorrei confessarmi e comunicarmi…Arriverò a domattina?» Per amore, Alfredo lo rassicurò: e la mattina Eolo fece una comunione edificante, per la gravità e la serenità.
Ecco come uno dei compagni accorsi narra l’incontro:
«Lo conobbi a Pisa; quando ci presentammo mi sorrise: aveva la febbre altissima ed era moribondo, – quasi tutti i medici avevano perso ogni speranza di salvarlo; – lo stesso sorriso gli ho sempre rivisto negli occhi quando ci ritrovavamo: sereno.
«Sembrerebbe strano, ma nei giorni per lui fisicamente più dolorosi era felice: “Sto cominciando a vivere”, diceva, e “se tanta luce mi deve venire da queste sofferenze, che continuino pure!”. Solo un po’ di rammarico gli veniva, sentendosi sfuggire la vita, dal non poter dare di più a quel Gesù che cominciava allora a conoscere. Cominciavamo a conoscere Gesù un po’ tutti, quanti ci radunavamo al suo lettuccio; delle frasi del Vangelo letto per la prima volta, una, più delle altre, l’aveva colpito: “Date e vi sarà dato”. La mise subito in pratica mandandoci, per esempio, parte delle cose che riceveva, affinché facessimo colazione dopo la Messa, prima di andare a scuola».
Una comunione edificante: e difatti alcuni degli astanti vollero anch’essi, in quei giorni, tornare ai sacramenti. E la cosa si ripeté nei giorni successivi, quando medici, infermieri e malati lo vedevano comunicarsi. Rapidamente, Eolo divenne un personaggio popolare nella clinica: molti venivano a conoscerlo, a portargli doni. Venne anche il Nunzio Apostolico del Brasile, poi venne il Vescovo, e quindi parroci e religiosi: soprattutto vennero giovinetti, a cui quel modo d’intendere il dolore e di accettare i rischi della vita svegliava le prospettive di una esistenza eroica, degna d’essere vissuta. E anche essi prendevano a fare la comunione quotidiana. Frattanto, egli si riebbe fisicamente e poté essere dimesso dalla clinica.
Prima parte qui. 2a parte qui. (Continua)
Allego due commenti ricevuti per mail:
E’ stata una meditazione questa puntata. Ci trovo la freschezza
dell’Ideale dei primi tempi, i miracoli tipici di allora, una comunità
solidale… Alla prossima domenica allora. Bruna F.
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GRAZIE, per questa storia su Eolo, che non conoscevo nei dettagli, pur
avendo spesso sentito parlare di lui, fin da quando ero Gen. Davvero
abbiamo dei santi in cielo! Franco