La storia di Eolo Giovannelli (scritta da Maras) – 4a parte

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Santa Maria al Colle, paese di Eolo

Santa Maria al Colle, paese di Eolo

L’attività apostolica

Tornato a casa, a S. Maria a Colle, i nuovi fratelli lo avvilupparono più che mai del loro affetto; e frequentemente venivano a prelevarlo, per condurlo, su un’auto, a qualche raduno. Lo menarono a Firenze, poi lo menarono a Trento, alla culla di quella che ormai era divenuta la sua fami­glia: a vedere piazza dei Cappuccini, dove s’era aperto, sotto le bombe, il primo focolare; e poi, sul colle, a casetta Foco, don­de erano partite le prime  diramazioni;  e poi a Fiera di Primiero, dove l’estate, in numero sempre più folto, da tutta Italia e anche d’Oltre Alpe e d’Oltre Mare, afflui­vano anime, avide di comunione, per cemen­tare l’unità, desiderio  culminante  di Gesù.

Ormai fu questa la sua vita.

Tornando da Trento, la prima volta, per prima cosa arse, in un falò, tutte le lettere, a cui era vincolato. Fu un atto di libera­zione, appreso a casetta Foco, dove gli avevano insegnato che solo Dio conta: Dio solo. E alla mamma che, sorpresa, gli do­mandava: «Perché hai fatto questo?», ri­spose: «Mamma, ho capito che non servo­no per arrivare a Gesù: inutile quindi cu­stodirle».

Dio solo. Cresceva nell’amore per Iddio e quindi nell’amore per il prossimo. Per questo si trasformò, in quanto le forze glielo consentivano e sino all’estremo delle forze, in servitore dei fratelli. Prese ad aiutare, a fare elemosine, a dare amore. Divenne un apostolo che non finiva di annunziare e far amare Gesù. Un giorno chiese alla mamma 500 lire da inviare a un carcerato di Brescia. Si sentiva colle­gato con tutti, d’ogni luogo. Non più distanziato e isolato; ma, quale vedetta, messo in un posto particolare, su un picco eminente, – sulla croce, che era l’osserva­torio più alto; – e da lassù compiva il suo dovere, in servizio della Chiesa mili­tante.

La solitudine era finita: subissata. E con la solitudine era finita la tristezza; non viveva più per sé, ma per il Signore e per i fratelli, quindi non aveva né tempo, né voglia di ripiegarsi su sé stesso.

La sua camera divenne una mèta di pelle­grinaggio, a cui approdava gente d’ogni parte: ed era Eolo a far da perno in quei raduni, a parlare a quei convenuti, a legge­re brani da Città Nuova, a insegnar can­zoni, a intonar preghiere.  Soprattutto i bambini – i piccolissimi – cantavano a squarciagola gl’inni della Mariapoli: e talune delle loro cantate «mariapolitiche» egli fece incidere al magnetofono, godendo senza fine a riascoltarle e a farle riascoltare. Così, invalido, ghermito a metà dalla morte, stette come un donatore di vita. Tanta gente, vedendolo, capì la religione: molti credettero perché videro come egli e i suoi si amassero.

Era malato; e, con perizia, con semplicità, con le risorse della salute divina, risanava coscienze, risuscitava la speranza, ricom­poneva famiglie…

In  Mariapoli

E le risorse crescevano e si rinnovavano in Mariapoli.

L’estate, infatti, Eolo andava alla Maria­poli, e cioè nelle cittaduzze dolomitiche, dove, tra torrenti e rocce, sotto boschi di conifere, al riparo di campanili gotici, la famiglia spirituale raccolta attorno ai Foco­lari, piccola immagine della Chiesa – e c’erano vescovi e sacerdoti e religiosi e suore e laici consacrati e famiglie a non finire, – si consociava l’estate adunando e unificando creature d’ogni condizione sociale e di ogni paese, per farle tutte uno, secondo il testamento del Signore, con la tecnica umano-divina  insegnata  da  Lui:

«Dove due o più si uniscono nel mio nome, io sono in mezzo a loro».

Ed Eolo sentiva il Signore in mezzo a loro, sia la mattina e la sera nella chiesa, sontuosa come basilica, di Fiera di Pri­miero, sia lungo tutto il giorno, nei convegni, alle conferenze, ai trattenimenti, agli spettacoli, alle passeggiate: perché sempre e dapertutto ognuna di quelle creature, incontrando un fratello o una sorella, si metteva di fronte a lui o a lei come di fronte a Gesù.

Così assorbito in Dio, quando gli fu offer­ta la possibilità di ricevere un televisore, che avrebbe riempito la stanzetta di luci e di suoni, titubò.  E disse il perché: il perché d’una potenza unica: «Io lo temo. Ho paura della mediocrità … “. Nella fede e nella carità aveva trovato gli slanci dei mistici, con cui scalava vette e superava abissi: aveva intrapreso una carriera di elezione, dove anelava a farsi simile a Dio e a unirsi a Dio.  Ora paventava d’essere ritrascinato nella piatta mediocrità, carica di noia ne di delusione, fatta di piaceri terreni, tessuti banalità … Aveva ormai scelto Dio, per darGli gloria, «e questo è possibile solo facendo il bene», come scriveva al dottor Zirondoli, ormai fratello. Non aveva quindi tempo da perdere: tempo e forse eternità da perdere…

L’estate nella Mariapoli era per lui un bagno di gioia: tra le Dolomiti e i Focolari, nell’amore dei fratelli, visse ore di unione con Dio, delle quali non finiva di parlare. Con loro venne a trovarsi nel ciclo d’una attività, che investiva ormai i continenti.

«Eravamo veramente, – scrisse nel set­tembre 1957 al suo fido amico salesiano, Gaetano M. Ventura, – come una famiglia sola e c’era fra noi un amore grande che ci univa e ci avvicinava a Dio. E lassù il comandamento di Gesù: “Amatevi come io vi ho amato” era veramente una realtà. Credi, Gaetano, che ne sono tornato trasfor­mato nell’anima … ».

Durante la Mariapoli di quell’anno, un cappuccino di Fiera di Primiero, chiamato a recare la comunione a una malata, en­trato nella chiesa arcipretale, nell’ora della Messa dei Focolarini, incontrò, tra la folla, gli occhi di Eolo: e ne fu colpito. Subito dopo entrò un signore, a cui capitò la stessa cosa. L’effetto fu che quel signore si rivolse al cappuccino perché lo confessasse. E dopo trentacinque anni tornò ai sacra­ menti. La vista di quella giovinezza, offerta come vittima dal suo altare di dolore, gli aveva spalancato la realtà della vita, mo­strando di colpo la differenza tra la frivolità di lui sano e la profondità dell’anima di quell’invalido.

Già il secondo anno che era tornato dalla Mariapoli, alla mamma era parso di rice­vere un santo in casa: un figlio perfetto per amore, obbedienza, premura.  Di tutto chiedeva il permesso, valorizzando ogni gesto e ogni detto di lei.

Allora Eolo era riuscito a farsi portare Gesù eucaristico, ogni mattina: e lo rice­veva con tale pietà, tale trasporto, che – come ricordano i familiari – anche un ateo, al solo vederlo, si sarebbe convertito.  Pregava di continuo; e a sera invitava la mamma a recitare insieme il rosario: ed erano, per la povera donna, le ore più belle, – belle per il fervore della preghiera, la lumi­nosità dei discorsi che le faceva, la pace che le restituiva   sempre.   Alla f ine   indusse anche il babbo ad unirsi nella preghiera a Maria, il babbo   che via via veniva   sco­prendo la religione, lui che non andava in chiesa: e scoprendo la religione, capiva l’or­rore della bestemmia sulla bocca dei com­pagni, sì che finì col condannarla con forza. Del pari la sorellina Milvia sempre più si avvicinava all’ideale del fratello. Suscitava tra i suoi familiari e conoscenti una così profonda unità che alla mamma egli finiva col non parere più un figlio suo, ma l’immagine viva del Signore; tanta sapienza le veniva da lui, tanta gioia nelle pene quotidiane. Eolo divenne la sua guida, il suo sostegno, – lui, immobilizzato su quel povero giaciglio; – un suscitatore di vita, – lui diretto verso la morte. Tutti intendevano questo fatto: che la religione vissuta aveva dato a Eolo «una vita più abbondante»: come di uno, che, essendo in terra, partecipava della vita di Dio, in cielo.

Mariapoliti a Fiera di Primiero (TN)

Il Focolare

La scoperta del Focolare, dunque, avendolo inserito nella comunione di nu­merose anime, lo aveva fatto vivere più consapevolmente e costantemente con la Chiesa e della Chiesa. Quando lo porta­vano, ·qualche giorno, in Focolare a Firenze, si sentiva felice di vivere la vita del foco­larino, poiché era e si sentiva ormai tale, felice di esserlo. Dimenticava allora sé e il mondo e viveva in una sorta di incanta­mento paradisiaco.

«Scommetto, – gli diceva la mamma, – che   se   ti   lasciassero   sempre   a   vivere   in Focolare, ti dimenticheresti   anche della   tua famiglia».

E lui rispondeva:

«Là si vive la vita degli apostoli: ci resterei anche cibandomi di solo pane e acqua».

Le ore che passava in Focolare le chia­mava «anticipi di paradiso». Le idee, fruttate dall’incontro coi Focolarini, gli pare­vano di un valore senza pari: gli parevano fiorite dal Signore presente in mezzo a loro.  Per recarsi più spesso a Firenze, vagheggiò il disegno di procurarsi un’auto: non ci riuscì, e ne patì, e ci pianse, pur se offerse al Signore anche questa rinunzia. In compenso trasferì l’aura del Focolare nel suo stambugio, dove cercò di accen­dere una comunanza di focolare con la mamma e la sorella Milvia, entrambe assai sensibili a quella spiritualità, che aveva trasfigurato il loro figlio e fratello. E, giorno per giorno, partecipò, col cuore, coi discorsi, con corse improvvise, alla vita del Focolare. Una volta che i Focolarini in formazione erano stati convocati a Roma, egli pagò le spese di viaggio per alcuni, vendendo la propria collezione di francobolli, che gli fruttò 28.000 lire. Lui non poteva andare: andarono gli altri. Si sentiva in qualche modo come la radice d’un albero, la quale sta nascosta, sottoterra, per alimentare i rami. E fu lieto quando quelli, di ritorno, vennero a narrargli dell’incontro fatto e gli fecero ascoltare una bobina incisa con le canzoni nuove.

Prima parte qui; 2a parte qui; 3a parte qui. (Continua)

 

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About Luca Tamburelli

Sposato e padre di fue figli, vivo in Francia, a Annonay, presso Lione. Sono amico di Maras e di moltissimi suoi amici.