LA CHIAMAVANO LA SIGNORA MAESTRA – III

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                                     LA CHIAMAVANO LA SIGNORA MAESTRA

Albertina, Serva di Dio

Albertina, Serva di Dio

Ora la Chiesa la chiama Serva di Dio

Momenti del processo diocesano di beatificazione di ALBERTINA VIOLI ZIRONDOLI conclusosi il 16 maggio 2007.

Nel 2001 usciva ad opera dell’Editrice Città Nuova un libro dal titolo “Albertina – Una storia che continua”. Era la biografia di una donna di Carpi vissuta dal 1901 al 1972, di professione insegnante, che ha lasciato una profonda impronta nelle migliaia di persone che l’hanno conosciuta. Ed è stata punto di riferimento spirituale e morale, oltre che materiale per molte persone anche al di fuori della sua città.

(Continua da http://amicimaras.com/albertina2) Dopo questo inizio alla Theotokos di Loppiano, momento solenne che resterà impresso in tutti i presenti, si sono succeduti al Tribunale Ecclesiastico di Fiesole molti testimoni di vario ceto, età, etnia venuti da tutto il mondo e si sono moltiplicate le testimonianze che hanno fatto da supporto al processo di beatificazione. Alcune di queste – altrettanti momenti di Dio – sono riportate qui di seguito.

Un attimo che mi ha cambiato

Augusto Parody Reyes

Augusto Parody Reyes, Medico in Costa D’Avorio.
Durante un soggiorno a Loppiano, agli inizi del 1983, sentii parlare di Albertina e fui così colpito da poter dire che iniziai allora a conoscerla. Tanto che scrissi ad un responsabile della cittadella: «Conoscere Albertina è stata la grazia più grande di questo periodo. Mi credi se ti dico che lei è la persona con la quale sento di essere unito nel modo più forte e più bello? È veramente impressionante come le persone andate in Cielo siano vive in Dio, tutte Amore! Andare a trovarla al campo santo è andare da una persona che mi attira col suo amore, perché il cuore spinge ad andare da chi si ama. E, ogni volta che vado, la conosco sempre di più, mi accorgo che mi parla dentro e mi dà vita col sapore di litanie tutte sue, che mi dà serenità, pace, speranza e alla quale spontaneamente affido situazioni e persone con la certezza che non c’è un’avvocata migliore. Questa presenza, questa realtà la porterò sempre con me, anche ora che andrò in Africa, perché non è legata al tempo o allo spazio, perché è veramente un rapporto in Dio, secondo quella vita della Trinità che ormai è la vita di Albertina e che per me è un anticipo di Paradiso». C’è stato poi un momento, quando già ero in Africa, nel quale Albertina è entrata ancor più decisamente nella mia vita, facendomi capire con maggior radicalità quel servizio agli altri che è costitutivo della vocazione all’unità. Era il 18 luglio 1983, undici anni dopo la sua “partenza” (ma io non lo sapevo) e stavo molto male, fisicamente e spiritualmente. A parte i continui attacchi di malaria, avevo l’impressione di trovarmi di fronte a una montagna che non riuscivo né a superare né ad aggirare. Mi sentivo stanco, vulnerabile, indifeso. Ho cercato di pregare per reagire a questa situazione e improvvisamente ho avuto la percezione che qualcuno – non ho dubbi che fosse Albertina – mi dicesse: «Ma Augusto, perché non mi lasci portare i tuoi pesi?» È stato solo un attimo, ma molto chiaro, un attimo che mi ha cambiato. Ho capito che nel portare i pesi degli altri stava la soluzione del mio problema, che dovevo quindi uscire da me stesso, pensare agli altri e occuparmi di loro, come aveva fatto lei. Mi sono sentito nuovo e da allora Albertina è diventata una presenza nella mia vita alla quale mi rivolgo “naturalmente”.

Come un’ala d’angelo

Doriana Zamboni

Doriana Zamboni

Doriana Zamboni – Una delle prime compagne di Chiara e da allora dirigente del Movimento.
Nel 1954 ero responsabile del foco-lare di Parma e nei viaggi che compi-vo per le località dell’Emilia Romagna ho conosciuto a Carpi Albertina. L’ho conosciuta e ho ammirato la sua anima, la sua dolcezza, il suo senso di servizio verso tutti, il suo salvare la buona fama di tutti e anche la sua azione sociale, che era sì sociale, ma partiva dal suo cuore e dalla sua anima. Il tempo che stavo con lei era un tempo di arricchimento anche per me, davanti a una persona così piena di carità. Una cosa che mi colpiva in lei era che non solo non badava a se stessa, ma addirittura non esisteva. E questo perché lei lo voleva, per lasciare tutto lo spazio all’altro. La ricordo sempre occupatissima, in cucina per esempio, facendo pasticcini per i bambini, oppure sferruzzando lavori a maglia o all’uncinetto per questo o per quello. Aveva in mente le ricorrenze di tutta la gente di Carpi per far loro qualcosa, dolci o altro. Mentre mi raccontava sempre lavorava. Anche nei confronti del marito valeva lo stesso “annullamento”. Ho raccolto le confidenze di Albertina sulla sua vita matrimoniale. Mi diceva con dolore che non si capivano, non avevano la stessa mentalità, lo stesso modo di pensare e di vedere, ma lo diceva come una cosa che era così e che lei accettava. Da un lato infatti era una donna modernissima, da un altro era una donna d’altri tempi per cui il marito è marito e basta, bravo o no che sia, è da amare, da riverire, da ascoltare. Lo accettava anche se non lo aveva conosciuto bene quando si è sposata. Il matrimonio fu una cosa combinata dai parenti – così mi raccontava – e in viaggio di nozze ebbe la prima esperienza per lei traumatica ed ebbe luogo il primo episodio che le ha fatto conoscere il marito. Però ricordo bene che non giudicava il marito. Lei era una signora, nel senso bello della parola, che rendeva conto al marito di tutto – perché lui lo voleva – anche dei soldi (anche degli spiccioli) che aveva. Tutte le volte che io potevo incontrarla lo facevo e mi raccontava delle attività che avviava, di come seguiva le ragazzine, le aiutava, sia per lo studio che per la formazione umana e sociale. Vedevo come agiva e come si muoveva. Era proprio una persona superiore! Ha vissuto da povera: non aveva soldi e le cose che aveva le utilizzava fino alla fine. Le riparava in maniera meravigliosa, rammendandole e sistemandole perfettamente. A volte dava via le sue coperte ai poveri e lei rimaneva con una vecchia coperta rappezzata. Circa la castità era un angelo, anche nei rapporti col marito. E riguardo all’obbedienza obbediva al marito fino nelle piccole cose anche se le costava perché lui aveva quell’atteggiamento che avevano una volta i mariti che pretendevano che la moglie obbedisse e basta e facesse quello che vuole il marito. Non è che tra loro ci fosse molto dialogo anche se lei cercava di mantenerlo interessandosi a tutte le cose che potevano interessare a lui anche se a lei non interessavano minimamente.

Nonostante tutto questo però riusciva a trovare il tempo per andare a occuparsi di tanti altri essendo presente in casa nei momenti essenziali. Quando Albertina conobbe Loppiano, la sua partecipazione al Movimento divenne più intensa. Faceva la spola fra Carpi e Loppiano come se a Carpi, a casa sua, fosse ospite e la sua vera casa fosse Loppiano. Anche prima che lì ci fosse suo figlio Alfredo c’era l’“ideale”, il suo “ideale”. E quindi a Loppiano realizzava i suoi desideri, le sue aspirazioni, trovava persone nuove che pensavano come lei. L’ho sentita parlare di Loppiano con entusiasmo perché nel più profondo Loppiano non era solo la possibilità di vivere rapporti nuovi e una vita sociale diversa… No, Loppiano era il luogo dove tenere “Gesù in mezzo”, quel particolare tipo di rapporto fondato dall’amore reciproco che incarna la spiritualità focolarina, che Albertina aveva assorbito nonostante la novità che in quegli anni ancora rappresentava. Ma una persona come lei fa presto ad apprendere le cose dello spirito. Trovava ogni modo, ogni scusa, ogni possibilità per andare a Loppiano e portare tante cose che aveva raccolto attraverso i contatti con le persone, che aveva preparato o che aveva costruito lei. E anche le persone che accompagnava le aveva preparate di modo che a Loppiano trovassero quell’amore che caratterizza la cittadella. C’era in lei una profondità per cui non convinceva le persone ad andare a Loppiano, le convinceva delle cose di Dio e dopo le portava a Loppiano: una cosa quindi molto più profonda che un “proselitismo”. Si stabilì a Loppiano quando si ammalò. Sono andata alcune volte a trovarla e ne conservo un ricordo vivo. Era talmente in Dio, talmente incantata dall’“Ideale” e dai giovani focolarini che lì facevano la loro formazione al focolare che si poteva dire “innamorata”, nel senso che si sentiva una responsabilità materna nei loro confronti. Aveva uno sguardo di madre che vedeva là dove altri non vedevano, li amava parlando con loro, “tirandoli su” se per caso “erano un po’ giù”… come una mamma, ma mai con “mammismo”, piuttosto con scioltezza, con giovinezza d’animo, se così si può dire. Ed era straordinariamente ricambiata da loro. Tutti quei giovani focolarini avevano un grande amore per lei! Si potrebbe pensare che umanamente cercassero una mamma, ma non è così; andavano sì a cercare una madre in lei, ma non nel senso del sentimento perché in lei trovavano una persona tutta pronta a proiettarli in Dio, in Gesù Abbandonato, nell’Ideale di Chiara, come fa una madre o un padre spirituale di fronte a un’anima. Me la ricordo in quel lettino, lì nella casa dov’era. Andavo a trovarla e lei era felice di ascoltarmi. Le raccontavo tutto quello che era successo in giro per il mondo, tutte le cose dell’Ideale e lei godeva di tutte queste cose e si godeva insieme del Regno di Dio che avanzava, di quello che succedeva nel mondo, di cosa l’Ideale faceva. Quando è morta io non c’ero, né ho potuto partecipare al suo funerale. Ma se n’è parlato tanto perché il suo funerale è stato veramente una festa. Tutti i funerali a Loppiano hanno questo tono, ma se ne parlava come qualcosa di particolare. Questo amore era nato solo dal suo essere. Infatti non era una “personalità”; era lei, lei con tutta la sua anima, con tutto il suo amore, con tutta la sua “consumazione”. Infatti, ogni volta che la vedevo mi sembrava sempre più consumata, ma non dalla malattia quanto dalla continua tensione a sostenere gli altri, ad amare gli altri, mettendoci tutta l’anima, malgrado la malattia. Era stata come un’ala d’angelo che passava e che sosteneva.

Mi addormentai tra le sue braccia

Anna Maria La Vecchia

Anna Maria La Vecchia

Anna Maria La Vecchia – Insegnante di scuola elementare e di scuola materna.

Vidi la prima volta Albertina agli inizi del lontano 1967. Un incontro fortuito che mi colpì molto. C’era qualcosa che emanava dalla sua persona che mi
attirava. Mi dissero che era una maestra in pensione e io, all’inizio della mia carriera di insegnante, avrei voluto conoscerla più a fondo. Gli incontri con lei non sono però stati molti. Ma ogni volta lo stare con lei mi era di grande esempio perché mi trovavo di fronte a una persona semplice ma completa in tutto il suo essere, delicata, bella nel suo aspetto fisico, diritta in Dio. Un giorno mi parlò di suo figlio allora corresponsabile della cittadella di Loppiano e io rimasi colpita dal distacco con cui ne parlava, quasi si trattasse di un’altra persona. Era fuori dal comune trovare una mamma che non lasciasse trapelare il suo amore materno e il suo orgoglio per avere un figlio così. Evidentemente la scelta totalitaria di Dio fatta e rifatta ogni giorno le faceva dare il giusto posto a tutti gli affetti, anche a quelli materni. Decisi allora di conoscerla meglio ma nel 1972 seppi che era stata ricoverata in ospedale. Feci quindi di tutto per andarla a trovare anche se sapevo che non avrei potuto fermarmi a lungo.

Fu infatti una visita breve ma che non dimenticherò mai: il suo corpo esile era pieno di tubi, di aghi, di sonde ma il suo sorriso era meraviglioso, quello di sempre. Non poteva parlare ma con lo sguardo mi ha accolto e accompagnato fino a quando sono uscita dalla stanza. Sembrava volermi dare l’ultimo saluto. Pochi giorni dopo morì. Una grossa perdita per me, ma ora – pensai – il Cielo è più ricco. A distanza di alcuni mesi dovetti essere ricoverata anch’io in ospedale per un piccolo intervento chirurgico. Sembrava una cosa da niente, a dire dei medici, e invece per una distrazione nella somministrazione di un farmaco mi trovai a combattere – mi dissero poi – fra la vita e la morte. Io non ricordo nulla, solo che mi sentii venir meno e che prima di perdere conoscenza “vidi” Albertina che mi diceva: «Stai tranquilla, stai tranquilla!» E mi sono abbandonata a lei pensando di addormentarmi fra le sue braccia. Al mattino, quando ripresi conoscenza, notai attorno al mio letto il primario e il chirurgo che mi aveva operata i quali preoccupati e stupiti mi dissero: «Lei è una miracolata! Se non usciva dal coma con l’ultima iniezione che le abbiamo praticato avremmo perduto la speranza di salvarla». E si congratulavano con me. Ma io sapevo che era stata Albertina! Chi è per me Albertina ora dopo tanti anni? È colei che sento sempre vicina, che mi protegge, che mi sostiene e mi incoraggia nei momenti più difficili. A volte, quando mi sento impotente di fronte a situazioni che mi sembrano insormontabili, rivolgermi a lei è diventata una consuetudine, e di colpo mi rassereno, mi torna la pace nell’anima, tutto si ridimensiona e trovo la soluzione al problema del momento. Io sento che l’equilibrio che mi ritrovo nel prendere certe decisioni è frutto del suo esempio di vita che mi sta davanti e mi è di luce.

Quando ho saputo che si iniziava per Albertina il processo di beatificazione ho provato una gioia immensa perché venivano messe in luce dalla Chiesa le sue virtù, e molti potevano conoscerla profondamente e imitarla nel suo amore a Gesù e a Maria, gli unici veri amori della sua vita.

Mi ha aiutato ad unire il divino con l’umano

Filippo Casabianca

Filippo Casabianca

Filippo Casabianca – Responsabile del Movimento a Città del Messico.

Il suo aspetto mi parve sin dalla prima volta che la vidi, agli inizi degli anni Settanta, quello di una signora distinta, fine.
Quest’immagine mi si fece subito vicina e amabile appena potei coglierne lo sguardo, penetrante, illuminato da un sorriso discreto. Mi pareva di essere davanti ad una persona di grande interiorità. La vedevo come su un piano più alto del comune, un po’ aristocratica nei modi, ma presto riconobbi i tratti che le erano più caratteristici: l’interesse sincero per le persone che avvicinava, la sensibilità al soprannaturale legato all’accettazione delle sofferenze che la vita non le aveva risparmiato. Stranamente non ricordo che raccontasse della sua vita o di se stessa. Non ne parlava forse perché la differenza d’età la rendeva ancora più riservata, ma mi pare che in realtà non amasse parlare di sé. La ricordo assorta in una specie di contemplazione su ciò che Dio stava operando attraverso suo figlio Alfredo a quel tempo concentrato in un compito tanto importante come era la formazione dei focolarini alla Scuola di Loppiano. Si notava che il lavoro di suo figlio le dava soddisfazione come se svolto da lei stessa e lei ne partecipava come poteva: con la preghiera e con piccole attenzioni verso quei focolarini che la avvicinavano, attenzioni che mostravano una grande carità tradotta in una buona parola o in un buon cibo. Io la conobbi, insieme a suo marito Livio, a Carpi in alcuni viaggi che facemmo con Alfredo. I due genitori avevano nei riguardi del figlio due atteggiamenti diversi. Il papà non capiva ancora che utilità c’era stata a lasciare una promettente carriera di medico. Alle volte Albertina doveva mostrarsi determinata per frenare i commenti negativi del marito nei riguardi di quella situazione, ma Livio, anche se sul momento sembrava accettare ciò che diceva la moglie, quasi sempre quando ci si rivedeva, inevitabilmente tornava sull’argomento della carriera stroncata del figlio. Potei conoscerla più profondamente nei mesi successivi nei ricoveri in ospedale a Firenze, intercalati da brevi periodi trascorsi a Loppiano. Mi pare che fu dall’inizio della primavera del 1972. La figura spirituale di Albertina mi appariva sempre più imponente mentre il suo fisico cedeva inesorabilmente. Adesso constatavo direttamente con quanta fortezza affrontava le sofferenze della malattia. Ricordo che aspettava fino all’impossibile, prima di chiedere aiuto. Temeva di disturbare. Certe volte m’intrattenevo a farle compagnia e notavo che gioiva di saper di questo o di quel focolarino, di tale o tal altra situazione che vivevamo nella cittadella di Loppiano. Attuava in lei quella prassi soprannaturale di dimenticare sé, per entrare nel mondo dell’altro. Non sempre poteva uscire di casa, a causa del male, ma appena questo diminuiva un po’ godeva di andare alla Messa insieme agli abitanti della cittadella e con tutti aveva un rapporto personale, una parola da scambiare, un’esortazione, un commento, che mostravano quanto viveva per gli altri.
Nei giorni di ospedale, in quei momenti nei quali non poteva parlare tanto, ricordo il suo sorriso che diceva più di tante parole e mi trasmettevano una grande pace. Ora, a distanza di più di trent’anni dalla sua scomparsa devo riconoscere quanto Albertina abbia inciso nella mia vita aiutandomi ad unire il divino con l’umano, lo slancio nel seguire Dio con un amore attento ai particolari per scoprirvi le necessità del fratello e venirgli incontro.

Mi è tornata la voce

Mario De Siati

Mario De Siati

Mario De Siati – Voce solista del Complesso musicale Gen Rosso.
Fin da ragazzo mi piaceva la musica e tutto ciò che con essa aveva rapporto, specialmente la danza e il canto, e siccome mi ero scoperto una bella voce cantavo sempre,
a casa, a scuola, in parrocchia. Avendo poi incontrato dei giovani appartenenti al Movimento dei Focolari, il canto divenne il modo per esprimere gli ideali che avevamo fatto nostri e per i quali avevamo scelto di vivere: l’unità, la bellezza, la fratellanza universale. A 23 anni andai a Loppiano, la cittadella internazionale del Movimento, per perfezionare la mia scelta e lì conobbi Albertina. Fu un incontro molto importante che mi aprì a una dimensione nuova. Era infatti una donna sposata, madre di un figlio responsabile dei giovani della cittadella, con una lunga esperienza di insegnamento. La sua figura alta, distinta, autorevole suscitava simpatia e al tempo stesso rispetto. E non era soltanto un’insegnante stimata e ricercata da tutti ma un’educatrice che insegnava a vivere orientando le persone, giovani e adulti, a fare scelte valide sia professionalmente che moralmente. Aveva inoltre fatto conoscere a Carpi il Movimento dei Focolari ed era un punto di riferimento per tutti coloro che volevano viverne lo spirito. A Loppiano, dove si recava quasi ogni domenica, era di casa pur non mettendosi mai in mostra e lo era, di casa, nel Gen Rosso, il Complesso musicale nato alla fine degli anni ’60 nel quale entrai a far parte grazie alla mia voce. La presenza di Albertina fu molto importante per noi in quegli anni di fondazione. Fu lei che organizzò il primo spettacolo del Gen Rosso in un teatro di Carpi, aiutandoci a superare le difficoltà che via via si presentavano: economiche, di alloggio, di impatto con la città (eravamo 25 giovani di nazionalità, lingua e razze diverse e avevamo bisogno di tutto). Lo spettacolo fu un autentico successo e, avendo rivelato a noi stessi le possibilità che avevamo, ci aprì la strada a una serie di recite, in Italia e all’estero, che ci hanno permesso di portare in tutto il mondo il nostro messaggio di unità, di fraternità universale e di pace. Così per anni. Anni pieni di attività e soprattutto di luce per il rapporto con Chiara Lubich che si stabiliva ad ogni nuova canzone. E quando rientravamo a Loppiano, sempre incontravamo Albertina che sembrava non invecchiare tale era l’intensità del suo amore e la sua maternità verginale che faceva ricordare Maria, la Vergine Madre, modello di ogni cristiano e di ogni uomo. Nel ’72 Albertina concluse la sua esistenza terrena. Quando la vidi l’ultima volta in ospedale, fui colpito da una sorta di regalità che traspariva da ogni suo atteggiamento e da ogni suo silenzio. Di fronte a lei mi sentii tanto piccolo… Quando “partì” fu sepolta nel camposanto di Loppiano. Fu un grande dolore per tutti noi ma anche una gioia per la sua vita così piena e la testimonianza di come si ama trasformando ogni dolore in amore. Il Gen Rosso compose per lei la canzone «Era una piccola donna…» e io gliela cantai durante il funerale, una canzone che poi entrò nel programma dello spettacolo e fu occasione per alcuni di seguire Dio consacrandosi totalmente a Lui. Poi con il Complesso continuai a girare il mondo, a organizzare spettacoli e a incidere dischi. Finché, per l’avvicendamento richiesto dal Gen Rosso, formato soprattutto da giovani, lasciai il gruppo per un altro incarico, sempre nel Movimento dei Focolari. E avendo smesso di cantare e non esercitandomi più (vocalizzi, ginnastica respiratoria) praticamente persi la voce. E persi anche quel rapporto diretto con Chiara (legato alle canzoni) che avevo avuto fino ad allora. Intanto la figura di Albertina veniva sempre più in luce e si cominciò a parlare di santità. Fu scritta una sua biografia e il Vescovo di Carpi volle iniziare il processo di beatificazione. Un giorno del 2003, vicino a Carpi, si commemorava Albertina e io che ero presente fui invitato a cantare. Tutti sapevano che avevo smesso già da tempo ma chi mi aveva conosciuto come voce solista del Gen Rosso si aspettava che io cantassi. Da parte mia ero molto titubante e mi domandavo con timore se ce l’avrei fatta. Allora, come tante volte avevo fatto dopo la partenza di Albertina, mi rivolsi a lei chiedendole aiuto. E mi lanciai a cantare la canzone composta per lei quand’era ancora in vita («Oggi nel cuore ho tanta gioia») e che tante volte avevamo cantato pensando a lei nelle tournées in tutto il mondo.

Il risultato fu sorprendente per il pubblico ma soprattutto per me. Avevo ritrovato la voce di un tempo! Poi cantai un’altra canzone e poi un’altra ancora mentre in cuor mio ringraziavo Albertina per il dono che mi aveva fatto. Mentre ritornavo a Roma in treno con il cuore pieno di gioia e di gratitudine, mi raggiunse una telefonata: Chiara Lubich, attraverso una sua compagna, mi chiedeva di tornare a cantare. La persona alla quale Chiara si era rivolta sapeva che da anni io non cantavo più, ma mi telefonò ugualmente.

Per me è stata una cosa importantissima, più di aver ritrovato la voce. Dopo 18 anni Chiara mi chiamava per cantare in un congresso internazionale dedicato a Maria alla presenza di personalità di tutto il mondo cattolico e non. Il congresso presentato da lei si sarebbe poi ripetuto in altri luoghi. Il rapporto anche “canoro” con Chiara si era dunque ristabilito. E tutto questo in un giorno. Era il 16 marzo 2003.

Il contatto con Albertina fu per me un tempo sacro

Manuel Cruz Nava

Manuel Cruz Nava

Manuel Cruz Nava – Focolarino spagnolo a Quito (Equador).

Fin dal primo incontro con Albertina, nel 1969, conoscerla per me è stata una scoperta e una grande gioia. Ho subito avvertito che si trattava di una persona spiritualmente molto ricca che pur “non possedendo nulla faceva ricchi molti”. Infatti quando veniva a Loppiano, la cittadella dove mi ero trasferito per due anni, portava sempre moltissime cose: vestiario, cibi, dolci – “provvidenza” la chiamava lei – che raccoglieva a Carpi dove abitava, per aiutarci nelle nostre necessità. Inoltre veniva sempre accompagnando persone e gruppi per far loro conoscere la realtà che si costruiva a Loppiano: mettere in pratica l’amore reciproco perché Gesù fosse sempre presente in mezzo a noi. Era una città “posta sopra il monte” perché tutti potessero vedere realizzato il consiglio evangelico che dice: “Guardate come si amano gli uni gli altri”. La presenza di Albertina fra noi era un raggio di luce, di allegria, di pace. Gioiva di quanto vedeva, di quanto vivevamo tra noi e con lei, ma allo stesso tempo ci faceva sperimentare anche tutta l’armonia del suo amore di madre, di donna, di cristiana e di sorella. Noi la sentivamo interamente parte della nostra famiglia: anche lei partecipava e aderiva immediatamente a quanto stavamo facendo e costruendo nella nostra vita e nella cittadella. Il tempo vissuto a contatto con Albertina fu per me un tempo sacro, difficile da descrivere ma tale da rimanere profondamente inciso dentro di me. Non passavo molto tempo con lei, ero uno di quelli che la vedevano soprattutto “dal di fuori”, la salutavo, a volte ci scambiavamo qualche parola, condividevamo alcuni momenti della nostra vita, ma era sufficiente per sperimentare l’amore divino che emanava da lei. Il suo era un amore sopraffino, delicato con ognuno di noi, come se fosse divenuta madre di tutti. Stava attenta ai più bisognosi, a quelli che forse attraversavano un momento spirituale difficile, ed aveva per loro una parola di sollievo, di amore, di comprensione. Se avevano necessità di qualcosa di concreto, si preoccupava di venire loro in aiuto. Mai la vidi giudicare, né manifestare una parola superflua. Sapeva che c’era un lavoro di Dio nelle persone e soffriva con chi soffriva, o gioiva per le conquiste e le gioie dell’altro, soprattutto però amava proprio come una madre in ogni circostanza. Credo che il lato più bello di Albertina fosse il suo “silenzio di amore” che ci portava a Gesù, a tenere Gesù fra noi, orientandoci verso Colui che aveva valore nella nostra vita e per il quale ci trovavamo insieme a Loppiano: Cristo. Con la sua presenza, i suoi gesti e il suo sorriso ci stimolava come Maria ad ascoltare la voce di Dio: «Fate ciò che Egli vi dirà». Mai si interponeva fra Gesù e noi, era un canale che ci aiutava a giungere a Dio, ad ascoltare la sua Parola e metterla in pratica, a gustarne la sapienza per la presenza di Gesù in mezzo a noi che si costruiva in ogni momento. E lei, forse, in quei momenti soffriva come Maria ai piedi della croce per il dolore che raccoglieva da noi, pur rimanendo sempre sorridente e silenziosa, intenta a mostrarci Gesù, che sempre più andavamo conoscendo e gustando. Da allora sono passati quasi 40 anni e molti dettagli non li ricordo, ma Albertina ha lasciato una impressione molto forte nell’anima, che conservo, come di una donna forte e dolce, completa e semplice, cristiana e universale, piena di amore di Dio e totalmente donata agli altri. E la sua presenza in me è viva e continua ad agire. Quando ho saputo che era Serva di Dio ho provato una gioia grandissima e le ho chiesto che continuasse ad intercedere per me, proteggendo il mio cammino di focolarino e recentemente anche di sacerdote, come aveva sempre fatto negli anni della mia gioventù, aiutando me e tanti altri in una decisione determinante per le nostre vite: la vocazione a seguire Gesù nel Carisma dell’Unità. Dio la benedica per tutto il bene che ha fatto e che fa ancora su questa terra. Personalmente, desidero di tutto cuore vederla sugli altari. E con tanta gratitudine invoco la Vergine che questa mia piccola testimonianza contribuisca ad accelerare il cammino della sua beatificazione.

Continuo a chiedere sempre il suo aiuto

Carlos Adan

Carlos Adan

Carlos Adan – Responsabile del Centro del Movimento in Corea del Sud.

Per chi come me viene dalle Filippine il salto culturale dall’Oriente all’Occidente è grande, e non è stato facile ambientarsi e assumere le nuove usanze e la cultura del nuovo Paese in cui ero giunto. Ho conosciuto Albertina negli anni 1970-72 quando ero nella scuola di formazione per i focolarini a Loppiano. Mi ricordo che un giorno sono andato a trovare suo figlio, Alfredo Zirondoli, allora responsabile della scuola, ma ho trovato lei. Noi orientali verso il responsabile abbiamo un forte senso di riservatezza e di rispetto, perché lo consideriamo una persona importante. Albertina mi accolse come se avessi vissuto con lei da tanti anni e mi conoscesse da sempre, mi offrì caramelle e cioccolato. Ricordo che una volta mi cucì un pantalone e mi mise un bottone alla camicia e in tante altre occasioni con gesti concreti mi ha fatto da madre. Solo a vederla capivo tante cose del cristianesimo e della Madonna: anche Albertina come Lei ha vissuto per Gesù. Ricordo quanto stava male i giorni prima di morire. Quanto abbiamo pregato per lei! Ma il giorno del suo funerale è stato un giorno sacro, non sembrava per nulla un giorno di lutto. Avevo l’impressione che una persona santa salisse al Cielo.

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About Luca Tamburelli

Sposato e padre di fue figli, vivo in Francia, a Annonay, presso Lione. Sono amico di Maras e di moltissimi suoi amici.

Comments

  1. Luca Tamburelli says

    Commento di Joca (Portogallo), che ringrazio. “La mammina… Come mi ha amato essendo io il più piccolo a Loppiano dove sono arrivato a 16 anni (1966). Un cuore enorme, capace di amare, intuire, sentire tutte le nostre gioie e dolori. Sempre attenta e presente. Adesso, con 70 anni, ancora ricordo e sento il calore del suo amore di madre ❤️ Certo Maras solo potrebbe aver avuto una mamma così…”