2a parte – vedi 1a parte
Premessa*
“Giacobbe rimase solo, e uno sconosciuto lottò con lui fino allo spuntar dell’alba. Quando costui vide che non poteva vincere Giacobbe nella lotta, lo colpì all’articolazione del femore, che si slogò, e disse: – Lasciami andare perché già spunta l’alba. Giacobbe rispose: – Non ti lascerò andare se prima non mi avrai benedetto. Quello chiese: – Come ti chiami? – Giacobbe, – egli rispose. L’altro disse: – Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché tu hai lottato contro Dio e contro gli uomini e hai vinto. Giacobbe gli domandò: – Dimmi, ti prego, qual è il tuo nome? L’altro gli rispose: – Perché mi chiedi il mio nome? – e diede la benedizione a Giacobbe. Giacobbe disse: “Ho veduto Dio a faccia a faccia e non sono morto!”. Perciò chiamò quel luogo “Penuel” (A faccia a faccia con Dio). Il sole stava sorgendo quando Giacobbe, zoppicando all’anca, lasciò Penuel” (Gen. 32, 25-31)
Noi siamo una famiglia religiosa e dobbiamo allenarci, prepararci, avendo ben chiara quest’idea: per trovare l’unità, dobbiamo conquistare “quella” persona.
Prima, quando eravamo nel mondo, se volevamo conquistare qualcuno, trovavamo tanti sistemi: come si chiama, quando è il suo compleanno o il suo onomastico, quali frasi gli diciamo o, se è una ragazza, quale profumo le piace, che divertimenti gli piacciono, ecc…
Ora se tante cose si fanno per diplomazia (e ciò che non è fatto per la carità, non mi permetterà mai di conquistare “divinamente” una persona, forse umanamente), tanto più noi dobbiamo conquistarci divinamente. E’ il divino che deve far presa sull’altro, è nel divino che noi ci conosciamo, aiutandoci con tutte queste cose umane, che sono come una strada.
In maniera analoga all’umano: se io umanamente faccio così, qualcosa di simile dovrò fare sul piano divino.
Insomma, devo trovare il modo di rendermi presente: per cui si fa il letto a quel focolarino e poi si piglia un rimprovero, perché quella volta non voleva gli si facesse il letto; gli si lavano i calzini: altro rimprovero perché “i calzini li lavo io“, e poi tutto ciò che iniziativa e fantasia possono far pensare, metterlo in opera, sapendo che son tutte occasioni per purificarmi. Poi finalmente si trova quella cosa che va bene!
Mi ricordo di quella volta con X. Il primo momento d’unità con X è stato appunto con una camomilla, dove lui ha sentito che io ero qualcuno che gli voleva bene (perché anche se gli voglio bene e l’altro non lo sente, è inutile, bisogna arrivare a farlo sentire). Quella volta ognuno cercava di far sentire ad X l’amore, facendo tante cose, (perché tra l’altro quando va male, è sempre tutto sbagliato, stonato, eccessivo). Ed anche la camomilla sarebbe stata allora un stonatura terribile, ma quella volta è andata bene. Infatti sarebbe potuto apparire come un dirgli: “sei un pò nervoso”, ed invece quella volta è andata bene.
Altre volte invece va male. Come quella volta del libro di teologia. Era un libro appena uscito che io portai da Parigi, ma X l’aveva già. Perciò non è detto che una volta che si è trovata l’unità questa ci sia sempre.
Una volta trovata 1’unità, bisogna di nuovo ritrovarla, perché cambia da un momento all’altro, cambia tutto, quindi bisogna ricominciare a combattere, a conquistarsi questa persona che poi è Gesù. Cambia sempre, ed è un mistero Gesù, io non posso dire mai “conosco Gesù Hector, Gesù Gevit”, perché essendo Gesù, ogni momento è nuovo e quindi rimango meravigliato, perché conoscevo quello di prima, ma non quello di adesso. Allora devo stare attento a cercare senza stancarmi mai.
La conclusione di questa meditazione è non stancarmi. Sapere che devo cercare, continuare a cercare e lottare e prendere colpi senza stancarmi mai. Se uno si ferma, vuol dire che non ha capito. Ci sono dei focolarini che dicono: “ma io faccio bene quello che devo fare: quindi vado a lavorare, sono puntuale, faccio da mangiare… , ma l’unità è un’altra cosa. Io devo trovarla al di là delle cose che faccio bene, l’unità è un mistero.
C’è un salmo che dice: “I figli del re stanno in casa, perché sono figli e possono anche non fare niente tutto il giorno, ma sono sempre figli; gli schiavi sono schiavi e anche se lavorano dal mattino alla sera stanno fuori casa perché sono schiavi”.
Adesso noi dobbiamo continuamente passare dallo stato di schiavi allo stato di figli e questo salto non è possibile umanamente: è Dio che ci dà la forza di farlo, ma anche noi con il nostro sforzo.
Per cui non mi basta se io faccio bene quello che mi dicono: anche gli schiavi fanno così; gli impiegati (i funzionari) sono pagati dallo stato per fare bene quello che devono fare, ma non per questo sono santi o figli. Non basta la natura: sono impiegati.
Il cambiare di natura è ciò cui dobbiamo tendere; nell’unità noi cambiamo la natura. Fare unità vuol dire diventare l’altro, avere Gesù in mezzo con l’altro.
Quindi, il venire qui a Loppiano e il fare tutto quello che ci vien detto, bene, puntualmente, può non significare essere in quest’altra dimensione che ci porta a fare unità, cioè a cambiare di natura. E se non cambiamo di natura non diventeremo mai popi (2).
Ed entrare in questa dimensione vuol dire qualche volta rischiare di non fare neanche bene quello che dovremmo fare. Infatti, se tutta la giornata è piena e devo fare questo e poi questo e poi questo ancora, arriva la sera e sono stanco e vado a letto e non ho più tempo per fare quel “qualcosa” in più ed è invece proprio questa qualcosa in più che mi fa scattare fuori del dovuto che è una cosa libera, è amore.
Così se noi non troviamo il tempo di fare un regalo a Chiara, quando viene, Chiara potrà dire: “sono dei bravi studenti, dei bravi lavoratori, però, insomma non hanno neanche il tempo di venire quando vengo io”. Immaginate appunto che Chiara venisse qui e si dicesse: “ma il mattino si studia, il pomeriggio ci sono i lavori, la domenica i visitatori, quindi non abbiamo il tempo per andare a trovare Chiara”. E se poi si tratta di farle un regalo, che oltretutto lo si prepara prima, quando lo si prepara? Allora di notte, di sera, quel qualcosa in più. Ed è quel in più che fa sentire Chiara a casa sua qui.
Se noi dicessimo: “andiamo via dai lavori, quando vien Chiara”, no, andiamo sì da Chiara, ma i lavori dobbiamo farli lo stesso, dobbiamo fare il doppio dopo. Allora é veramente qualcosa di più che abbiamo dato a Chiara e che Chiara sente. Diciamo: “Chiara”, ma ciò vale per qualsiasi altro. Adesso, per esempio, verrà Foco (Igino Giordani). Ci parlerà e lo farà quando può.
Potrà parlare di mattino e quindi in un momento del lavoro che noi dovremo perdere, per poi recuperarlo. Altrimenti siamo su di un piano umano, invece dobbiamo essere su di un piano divino.
Gesù dice: “queste sono le cose che dovete fare, senza dimenticare la altre”, lo dice chiaro ai farisei che dicevano di fare tutto bene (pulivano i bicchieri, ecc…).
“Ipocriti, è la carità, l’amore al fratello che dovevate vivere, senza dimenticare il resto”.
Naturalmente l’amore lo si esprime sempre male: è sempre grossolana l’espressione dell’amore, sempre. Se voi pensate a due innamorati, vi mettete a ridere per le loro espressioni.
Non dobbiamo preoccuparci dell’espressione grossolana, dobbiamo preoccuparci che sia amore. Se noi aspettiamo un’espressione fine, non si ama mai, si ha paura, quindi si salva se stessi, non si rischia.
Mettere in pratica l’amore significa cercare tutti i modi per arrivare al cuore dell’altro, che poi è Dio, ma è anche un cuore di carne.
Cuore vuol dire poi tutto, vuol dire intelligenza, sensibilità, arrivare all’altro, ecco, dandogli sì il divino, ma in forma umana, perché fino a che io non faccio arrivare mai niente ad una persona, ma mi limito solo a salutarlo, questa persona non mi conoscerà. E solo quando avrò trovato il modo di fargli arrivare qualcosa, che è un regalo per esempio, questa persona comincerà magari e dirsi che forse le voglio bene e anche se il regalo che le ho fatto non le piace, resta l’idea di aver ricevuto un regalo.
Il regalo non conta niente se non c’è l’Amore, però se c’è l’Amore deve esprimersi con qualcosa.
Si prega; bisogna cercare di essere come Lui; vivere le sue aspirazioni, i suoi dolori, chiedere la gioia, offrire la propria giornata per Lui e allora si prega anche di più, si fa la visita a Gesù Eucarestia con più intensità e alla fine scatta l’unità.
Dopo si troverà l’unità con un altro ancora e così non c’è l’idolatria ma tutto è e resta amore.
*PREMESSA
Quella che segue è una trascrizione da un commento di Maras al Vangelo del giorno. Si tratta quindi di una trascrizione di un parlato che espressamente non abbiamo voluto cambiare per rispetto dell’autore ben sapendo che al lettore domanderà un supplemento di attenzione. Maras in queste conversazioni, partiva dalle letture del giorno e le commentava direttamente senza nessun altro supporto se non il Vangelo e l’attenzione di chi ascoltava.
1) Paolo Azzoni, autore di questi acquerelli e di quelli della prima parte della meditazione, si è ispirato proprio a questo brano delle scritture.
2) Popo/a: Termine dialettale trentino, che significa “bambino/bambina”, con il quale Chiara chiamava i e le focolarine. La sua traduzione ci rimanda ai “piccoli” e alle “piccole” del Vangelo.
Grazie Michel!
Bello rileggere quel Tempo…nel Tempo di oggi…ma in Infiniti attimi diversi la Realtà non muta…Vivere…