La testimonianza di Gianni Ricci su Maras

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Tratta dal libro autobiografico “L’avventura di un Sì”

Gianni Ricci

Gianni Ricci

Maras, nome datogli da Chiara che significa Maria Assunta, è stato per me un vero fratello maggiore sin dall’ottobre 1963, quando è iniziata la scuola di formazione a Grottaferrata. Con Renata è stato corresponsabile della cittadella, maestro e artefice della magistrale regia della carità. Un vero formatore che sapeva trascinare anziani e giovani alla sequela di Gesù. Le sue meditazioni erano interessanti, avevano un tocco di sapienza e una disarmante semplicità.

Ricordo che alla scuola di formazione a Grottaferrata sapeva co­struire l’unità quando non c’era e la generava col suo amore, senza rimproveri, assumendo su di sé il dolore.

Poneva l’accento sul positivo. Era così grande il suo amore che ciascuno capiva dal di dentro le cose che doveva cambiare. Conqui­stava con la luce del carisma e con le sue esperienze di vita, che fa­cevano rivedere l’azione di Gesù nelle persone. Aveva un cuore aperto, con una grandissima e particolare capacità di accoglienza, di ascolto interiore, dove ognuno poteva versare tutto quanto aveva nel cuore.

Fra di noi c’era un rapporto di veri fratelli fondato sull’unità. L’ho sentito sempre nel rispetto e nell’amore soprattutto verso Chia­ra e ogni persona che incontrava. Questa fedeltà a Dio e a Chiara, nonostante tutti i dolori della sua vita, lo hanno portato a cammina­re nella via del santo viaggio.

A Loppiano volle che facessi da perno in una casetta come re­sponsabile del focolare. Vedendomi un po’ perplesso per questo in­carico mi disse: “Non ti preoccupare, basta che tu tenga Gesù in mezzo con gli altri”. Dopo queste parole aderii subito, facendo scomparire dentro di me tutte le paure.

Conobbe questa vita a Milano, da Ginetta Calliari, una delle pri­me compagne di Chiara, mentre studiava medicina.In pochi giorni aderì al nuovo ideale di vita evangelica e, poco più tardi, col trasferimento a Pisa, ne divenne un promotore. Lo ri­corda bene Lucio dal Soglio, a quel tempo assistente in clinica chi­rurgica all’università di Pisa: “Il prof. Zirondoli – racconta – era ve­nuto da Milano per installare il servizio di anestesia presso la clinica con annesso corso di studi in anestesiologia per la specializzazione. Per le sue qualifiche e per il fatto di non avere rivali, era un personag­gio rispettato e godeva di libertà di movimento e di decisione. Insom­ma, era uno che aveva davanti a sé una carriera brillante e che in poco tempo con dinamicità aveva fatto funzionare servizio e scuola.

Attorno a lui si formò subito una comunità dei focolarini, all’o­spedale, a Pisa e nei paesi vicini”.

Umberto Giannettoni di Pisa ha ancora ben presenti questi tempi: “In un circolo sportivo dei salesiani – ricorda – fu invitato un giovane primario di anestesia a tenere una conferenza. Ci raccontò un’affascinante serie di episodi, frutto del suo impegno a vivere il Vangelo nei rapporti quotidiani con malati, infermieri, medici e quanti aveva occasione di incontrare ogni giorno. Sí poteva cercare di vivere la parola, trasportare il Vangelo nella vita quotidiana, nei rap­porti di ogni giorno. Una scoperta che mi aprì un orizzonte nuovo e che cambiò com­pletamente la mia vita come aveva cambiato la sua”.

Gianni Ricci con Maras e Chiara alla fabbrica di roulottes di Loppiano

Gianni Ricci a destra con Chiara, Maras e Lionello alla fabbrica di roulottes di Loppiano – negli anni ’70

Entrato con armi e bagagli in una comunità dei focolari, a Firen­ze, nel 1954, Maras divenne uno dei pionieri della diffusione del Mo­vimento in Francia, Spagna, Portogallo, Inghilterra, Irlanda, Algeria. Per quindici anni ebbe la responsabilità della scuola di Loppiano. Nella cittadella nascente di Loppiano, ho avuto modo di vedere come Maras sostenne sempre con tutto l’impegno il Gen Rosso, fin dal primo istante della sua nascita. Conosceva la musica perché suo­nava il violino, ho visto con che amore insegnava come ascoltarsi, come affiatarsi nelle voci, come armonizzare ciascuna voce con quel­le degli altri senza prevalere. Era il modo di insegnare la cosa più importante: quella di saper convivere con gli altri nella vita di unità accogliendo, servendo, mettendo in luce gli altri.

Attraverso l’arte egli raccontava a tutti quello che aveva incon­trato nella sua vita: Dio in quanto bellezza, ma senza mai strumenta­lizzare né l’arte, né gli artisti, neanche per i fini più nobili. Sapeva mettersi in contemplazione della bellezza e il suo riconoscerla coin­cideva con l’aiutare gli altri a riconoscerla. Aveva in cuore l’idea che si può arrivare a Dio attraverso la bel­lezza e, quando divenne responsabile delle scuole di formazione, l’arte fu presente come parte costitutiva della formazione dei giovani focolarini, che vivevano con lui uno dei periodi più importanti della loro vita.

Un focolarino presente alla scuola di formazione di Grottafer­rata nel 1963-’64 dopo anni mi confidò:

L’esempio e gli insegnamenti di Maras mi hanno aiutato a vivere concreta­mente l’Ideale di Chiara, e a far crescere l’unità nel carisma. Finita la scuola, per un lungo periodo ho mantenuto un prezioso rapporto epistolare con lui. L’unità con lui in Maria mi ha aiutato enormemente. Mi sembra che, se sono riuscito a superare dei momenti difficili,  rimanendo fedele alla mia vocazione e a Chiara, lo devo a lui.

Ho avuto l’occasione di incontrare Maras durante la sua lunga malattia, mi confidò: “Nel mio primo incontro col Movimento rimasi folgorato quan­do una focolarina, parlandomi dell’Ideale, mi disse: Gesù era sempre unito al Padre. L’aveva detto Lui. Però, ad un certo punto, quando è stato sulla croce e ha gridato ‘Perché mi hai abbandonato?’ evidentemente non sentiva questa unità col Padre”. E io ricordo, che quella sera dissi: Se Gesù ha ama­to così, senza aspettarsi niente, l’unica cosa che conta è essere fedele a questa cosa, cioè di non aspettarmi mai niente, ma di amare sempre per primo. Poi ho girato tante parti del mondo, ma più sono andato avanti nella vita Ideale, più mi sono accorto che Maria è sempre associata a Gesù, sempre. Quindi, amare Gesù abbandonato e vivere Maria, la desolata, sono cose che vanno insieme. La nostra vita, se viviamo così, è di una pienezza grandissi­ma, lo abbiamo visto anche in Chiara, e questa pienezza fa venire il deside­rio di farla conoscere a tutti, di testimoniarla a tutti.

Bella la testimonianza di Giorgio Adolfo che era con lui all’o­spedale di Firenze. Ricorda un momento che l’ha particolarmente segnato:

In una delle ultime notti che ho passato in ospedale, volle dettarmi una breve lettera per il medico ematologo che lo aveva in cura. Fra l’altro diceva: ‘È arrivato il tempo di sciogliere le vele. La ringrazio per tutto quello che ha fatto per me. Ora mi trasferisco a Rocca di Papa dove i miei amici focolarini si prenderanno cura di me. Affido la mia salute e la mia vita a Dio. Ancora Grazie”.

Un carissimo amico mi ha fatto dono di una lettera che Maras gli scrisse nel giugno 2000, in risposta alla sua:

Carissimo,

La tua lettera l’ho tanto gradita, ogni giorno pensavo di risponderti, ma poi potevo solo chiedere a Gesù di ringraziarti. Hai saputo infatti che non stavo bene e quindi ogni cosa concreta diventava più difficile. È un periodo di grazie iniziato quando vivevamo la parola di vita: “Quando sarò innalzato da terra…” ho sperimentato che è proprio così! Non ho mai sentito così forte l’unità dell’Opera nei miei confronti. Adesso i dolori sono passati e sono sicuro che è stato, se non un miraco­lo, almeno una grande grazia, ma continua l’impressione di essere av­volto da tanto amore di Dio e delle creature. Lo scrivevo a Chiara che oggi mi ha risposto di “irradiare questo amore affinché dilaghi nel mondo. Potrei raccontarti tanti particolari, ma la sostanza è quella che ti ho detto prima. Naturalmente l’amore che ho sentito quando avevo l’impressione di patire aveva tanti volti. E c’era anche il tuo.

Per questo ti ringrazio! Perché sei cresciuto e rimani. Sono i miracoli dell’unità. Poi mi interessa anche tutto quello che dici e fai perché tutto ciò che è tuo lo sento mio. Ma soprattutto mi interessa che tu ci sei e con te sono io e tutti quelli che amiamo e che ci amano, a cominciare da Chiara. Dopo un ciclo di tera­pie a Verona sarò a Roma.

Spero di sentirti e di vederti. Ciao! Che Maria ti faccia sentire la grati­tudine che ho per te! In Lei! Maras.

MARAS ALLA PRESENTAZIONE DELLA CITTADELLA DI LOPPIANO AL SENATORE PAOLO BERLANDA E LILIANA LUBICH

Maras alla Presentazione della Cittadella di Loppiano al Senatore Paolo Berlanda con la moglie Liliana, sorella di Chiara Lubich.

Maras ha vissuto la sua malattia fisica con grande dignità, con naturalezza, senza lamentarsi, nonostante fosse una malattia doloro­sa. Ne ha informato i fratelli senza spaventare e avendo cura di non mettersi al centro dell’attenzione. Una delle cose che ricordo bene è il suo interessamento riguar­do al monastero Benedettino in Algeria, a Tlemcen, città che è un centro culturale per l’Islam. Nel 1966 in Francia ci sono stati vari incontri tra i responsabili del Movimento e Padre Emmanuel de Flo­risinin, poi Maras ha fatto una visita al monastero e di ritorno ha detto: “Sono appena tornato da una visita a questo monastero in Al­geria, abbiamo accettato di prenderlo e di aprire lì un focolare che abbia una dedizione speciale per i musulmani”.

La sua vita è stata sempre così: donazione fondata sull’unità con Chiara e con chi gli era accanto. Il suo ultimo periodo di vita è stato caratterizzato da acute sofferenze, vissute con un amore particolare a Maria Desolata e con grande dignità, cosciente del lavoro di Dio su di Lui.

Così ha scritto prima di morire a Chiara:

Volevo subito dirti grazie per avermi sostenuto in questo momento del mio Santo Viaggio… perché sono al limite delle forze, offro tutto per Te.

Mi hanno colpito nel suo testamento i suoi grazie:
Il primo grazie a Dio nel quale ho sempre creduto per merito della fami­glia nella quale sono nato e cresciuto.
Un grazie a Gesù, l’uomo, la verità, il modello, colui per il quale tutto è stato fatto e tutto contiene.
Un grazie allo Spirito dal quale mi sono sentito spesso avvolto, illumi­nato, nutrito.
Un grazie a Maria, Colei “di cui mai abbastanza si dirà”, che mi è sta­ta madre, maestra, amica, che mi ha affascinato con la sua bellezza, lei la “Tota Pulchra”.
Un grazie a Chiara Lubich per il suo carisma, la sua persona, la sua Opera. Da lei, trasparenza di Maria, ho imparato l’amore e non ho vo­luto far altro nella vita se non amare.
Un grazie a Dio per il dolore fisico, morale e spirituale che non è mai mancato e che ho spesso sentito come la possibilità di compiere ciò che manca alla passione di Cristo.
Infine accanto al grazie un’altra parola che ha tutta la dimensione del grazie: perdono. Ma il Grazie è più importante.

Se n’è andato così, dolcemente come aveva vissuto. Per la mia vita spirituale è stato uno dei migliori fratelli che mi ha sempre so­stenuto con tanto amore e luce.

 

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About Luca Tamburelli

Sposato e padre di fue figli, vivo in Francia, a Annonay, presso Lione. Sono amico di Maras e di moltissimi suoi amici.