Sono stato a Loppiano dal ’77 al ’79 e lì ho conosciuto Maras. In quei due anni non ho parlato molto con lui, poche volte in tutto, da contare sulle dita di una mano. Ma fin da quando, in quello che allora era l’edificio di Campogiallo, l’ho sentito insegnare alla scuola e tenere le meditazioni, ho capito di trovarmi di fronte a una persona straordinaria. Un fuoriclasse, di quelli che s’incontrano raramente nella vita. Era decisamente diverso da me – vedevo in lui un non so che di aristocratico mentre io mi sentivo un popolano, lui scherma e danza classica, io pallone e Guccini, tanto per intenderci – ma non potevo far a meno di ammirarlo. Un giorno ci scambiammo qualche parola. «Sai Michele – mi disse – io qui cerco di dare la mia vita per tutti quelli che sono alla scuola e nella città di Loppiano, dare tutto di me stesso, poi lascio liberi… se son rose fioriranno». Raccolsi quella confidenza con emozione e anche con un po’ di turbamento. La realtà della vita è purtroppo che “non tutti sono rose” e che dare la libertà comporta rischi e spesso porta i maestri a passare un sacco di fraintendimenti e di guai. Però gli autentici maestri, quelli grandi, si comportano così: ne avevo già avuto una alle elementari, la maestra Cometto, e uno alle superiori dai salesiani, don Allegri, un professore di italiano, storia e religione. Avevo imparato che questa loro disposizione a insegnare è l’unica veramente valida, ma è rischiosa, perché non tutti sono in grado di capirla.
Quella confidenza di Maras mi spiegò anche un altro fatto che vedevo attorno a me a Loppiano. Vedevo fiorire in tanti un’insolita creatività. Ragazzi che non avevano mai scritto poesie e che non l’avrebbero mai più fatto nella loro vita, si mettevano a scrivere poesie. Era un pullulare di composizioni di canzoni, alcune anche pregevoli. Si ideavano sketch, si facevano disegni, sculture in legno o con pezzi trovati di fortuna, si creavano brani teatrali, come “Spazzola per vestiti”. Avevamo messo assieme la “New Merry Christams band”, raccogliendo quelli che sapevano suonare, trombe, flauti, violini, chitarra, fisarmonica, percussioni e triangolo, e la vigilia di Natale giravamo tutti i luoghi di Loppiano, portando i doni da una casa per l’altra. Avevamo composto una canzone per la nascita del figlio del cuoco, Valentino: “Il giorno svegliato da un bambino/ apre i cancelli della vita…” e per il suo battesimo l’avevamo suonata accompagnati dalla nostra “banda”. Avevamo ballato il samba a Incisa, nella sfilata per la festa del paese. Io stesso, che non sono certo un musicista, contagiato da quel clima creativo, mi ero messo a comporre canzoni. Una per la Madonna, “Se io fossi un poeta / potrei dir la tua bellezza …”, una sulla chiamata a seguire Gesù, “La schiena appoggiata la muro di casa / nel cuore la voce segreta e lontana…”, diverse altre.
Dopo Loppiano ho composto pochissime canzoni, poi ho smesso del tutto. Sperimentavo che anche il lavoro veniva toccato dalla poesia, anche lavorare al cosiddetto “orto” diventava un’esperienza spirituale. Io, che non avevo mai lavorato la terra, ricordo l’avvilimento nel manovrare una falciatrice a motore, marca Alpina, non ci riuscivo, mi si spegneva sempre sui pendii attorno a Campogiallo. Ma poi anche con Alpina scattò “l’unità” e da quel giorno diventammo inseparabili. Zappare le vigne, andare a Ischia in pulmino con Vittorio per mettere moquette in un negozio, pulire le fosse biologiche con Vincent, comporre canzone con Gianni, tutto diventava poesia, era avvolto di splendore. Venivano tante persone a Loppiano, ne ho incontrato di tutti i tipi, incontri memorabili, si parlava subito di cose alte, ci si confidava segreti profondi, ed era la prima volta che ci si incontrava. Ci si toccava l’anima. Perché succedeva tutto questo? Io lo attribuivo a cosa mi aveva detto Maras, al clima che si respirava: Maras dava la vita, insieme a diversi altri, e la libertà che ne scaturiva tirava fuori da alcuni di noi le cose più belle che avevano dentro. E veniva il desiderio di esprimerle. Mi accorgevo, lì a Loppiano, che ogni persona, ogni cosa, ogni lavoro, ogni incontro, ogni moto dell’anima, ogni espressione artistica di cui si poteva godere nella fantastica Toscana, dava la possibilità di fare l’esperienza di Dio. Grazie Maras.
I testi delle canzoni che seguono, sono stati richiesti a Michele Genisio espressamente dalla nostra redazione, perché ci sembravano utili ad illustrare la sua testimonianza, e perché sono molto belle, ed erano molto apprezzate da Maras.
IL SEGRETO
(Loppiano 1979. Testo Michele Genisio, musica di Gianni Antoniol. Per la nascita di Paolo Viara)
Il giorno svegliato da un bambino
Apre i cancelli della vita
Nel cielo il vento ancora messaggero
Il nuovo incanto a tutti porterà.
In strada l’orchestra dei passanti
Inventa le note del mattino
Già senti il sole bussare alla tua porta
Al suo canto la notte se ne va
Ricerca nel cuore il segreto
Che questo giorno nuovo fa
Rinasce la gioia nel tuo volto
Riempie di luce la città.
Il cielo vestito d’arlecchino
Cancella le ombre dai tuoi sogni
Il vecchio muro scopre il suo sorriso
Parla di festa a tutta la città.
Le voci in piazza dei bambini
Fan eco a voci di fontane
Specchiano i vetri giochi di una vita
Parlan di nuovo di felicità.
Ricerca nel cuore il segreto
Che questo giorno nuovo fa
Rinasce la gioia nel tuo volto
Riempie di luce la città.
IL GIOVANE RCCO (INSEGUENDO L’INFINITO)
(Loppiano, 1978. Testo e musica di Michele Genisio. Gen Rosso al Family Fest, Palaeur, Roma 1981)
La schiena appoggiata al muro di casa
Nel cuore la voce segreta, lontana
Qualcosa che chiama ad essere Dio (a inseguir l’infinito)
Ad esser foglia e danzare nel vento
Ad esser gabbiano e volare lontano
…. e guardatolo lo amò
La polvere s’alza e colora la via
E sussurra all’orecchio è venuto il messia
Ha voce di uomo e parole d’amore
E dall’albero foglia ti farà danzare
E gabbiano nel vento ti farà volare
…. e guardatolo lo amò
Ma oro e denaro non s’alzano in cielo
Non fanno da ali non fanno da vela
E chiudono gli occhi in muri di casa
E paura paura con occhi di madre
E paura paura con occhi di sposa
…. e triste se ne andò
Ma voi che camminate con pioggia e con sole
E vi siete destati alle mie parole
E avete lasciato una casa, la vita
Cento case e fratelli e madri avrai
Cento spine e amori e abbandoni vivrai
… se mi seguirai
Cento cieli e orizzonti e mari vedrai
Cento estati e speranze e fontane berrai
… se mi seguirai.
SE IO FOSSI
(Loppiano, 1977. Testo e musica di Michele Genisio)
Se io fossi un poeta
Potrei dir la tua bellezza
Tu che sei da Dio amata
Madre nostra, e immacolata
Se io fossi come il mare
Potrei dir la tua grandezza
Tu che sei la desolata
Madre d’un Dio abbandonato
Se io fossi come un lago
specchierei la tua dolcezza
Se io fossi come il vento
urlerei la tua potenza
Viviamo insieme a Te
E, nell’umanità
sei via d’amor
Se io fossi arcobaleno
Potrei dire i tuoi colori
Dipingendo l’umiltà
Tu contieni come cielo il sole
Se io fossi come neve
Coprirei col tuo manto
Genti e cose sulla Terra
Volti stanchi e cuori spenti
Se io fossi come l’aria
Potrei dir la trasparenza,
Tu regina dell’amore
E speranza d’ogni uomo
Viviamo insieme a Te
E, nell’umanità
sei via d’amor