Meditazione di Maras Alfredo Zirondoli
*Premessa
Un giorno Gesù disse ai suoi discepoli: “Certo, gli scandali non mancheranno mai! Però, guai a quelli che li provocano. Se qualcuno fa perdere la fede a uno di queste persone semplici, sarebbe meglio per lui che fosse gettato in mare con una grossa macina da mulino al collo! State bene attenti! Se un tuo fratello pecca contro di te, tu rimproveralo! ma se si pente di quel che ha fatto, tu perdonalo! E se pecca contro di te sette volte al giorno e sette volte torna da te e ti chiede scusa tu perdonalo”. Poi gli apostoli dissero al Signore: “Accresci la nostra fede!”. Il Signore rispose: “Se aveste una fede piccola come un granellino di senape, voi potreste dire a questa pianta di gelso: Togliti via da questo terreno e vai a piantarti in mare! Ebbene, se aveste fede, quell’albero farebbe come avete detto voi” (Lc. 17, 1-6).
SECONDA PARTE
Non sono solo le montagne fisiche, ma anche spirituali, dell’egoismo, dell’attaccamento, del giudizio. Un’altra cosa che è terribile soprattutto negli uomini e quindi anche nei Focolarini, è il giudizio. E’ una montagna: a volte si è di fronte a una persona che giudica e si sente una resistenza, nessuna parola va bene perché qualunque cosa che noi diciamo, questa persona che giudica, la critica, la paragona, la ritorce, alla fine non si può più dire niente. Allora la tentazione è quella di andare via e invece bisogna stare lì, amare di fronte a questo giudizio, invece di controbattere, tacere, ma tacere vuol dire amare, vuol dire pregare, vuol dire offrire la vita per quello lì che mi fa male, quindi è proprio una cosa cristiana, si sente che il cristianesimo non è di questo mondo, si sente una legge, una vita che non è umana, è sovrumana, è di un altro mondo, quindi impegna noi e gli altri a vivere non in maniera conforme a questo mondo, ma in un altro mondo che non conosciamo pienamente, che solo nell’attimo presente possiamo conoscere per quello che ci serve nell’attimo presente. Dio non ci dà più grazia di quello che è necessario; la grazia per domani non me la dà; la grazia si chiama attuale che significa dell’attimo presente per fare questo atto che devo fare adesso. Io neanche posso chiedere una grazia per domani, devo chiedere questa grazia per oggi e poi farla. Dio me la da, ma io devo concretizzarla, con dolore che è il mio contributo, il mio apporto. Quando San Paolo dice: “Io compio nella mia carne quello che manca alla passione di Cristo” cosa vuol dire? Che quello è mio compito, è mio lavoro quello, il resto l’ha fatto Dio. Dio nella sua provvidenza ha già fatto un piano, ha già previsto tante cose, sull’umanità, su di me, sull’ambiente dove sono, ha già previsto tutto, quindi non devo io fare questi piani, devo soltanto compiere ciò che manca alla passione di Cristo.
Gesù sta attento, non previene, non va prima del Padre
Cristo ha fatto un piano? No. Ha fatto la volontà di Dio che gli manifestava il piano momento per momento. Si vede così chiaramente quando parla a Pietro e dice agli apostoli: “Chi dite io sia?” e Pietro gli dice: “Tu sei il Cristo” e Gesù dice: “Te l’ha rivelato il Padre, allora io ti dico che tu sei Pietro”. Si vede che Gesù è attento a quello che il Padre fa. Il Padre rivela a Pietro che lui è il Cristo e allora Gesù: “Ecco il Padre ti ha scelto e io ti scelgo, il Padre ti ha rivelato e io ti dico che tu sei Pietro, te lo dico completamente chi tu sei, sei Pietro su cui costruirò la mia Chiesa. Gesù sta attento, non previene, non va prima del Padre, sta dietro, sollecita: chi dite che io sia? Ma tu chi dici che io sia? Però se l’altro non risponde, Gesù non gli dice niente; quando l’altro dice: Tu sei …. Lui dice: Ecco io ti dico … Ora Gesù è entrato nel piano del Padre, ha fatto la volontà del Padre, non ha fatto il suo piano. Quando gli chiedono di mettere alla sua destra e alla sua sinistra i figli di Zebedeo, lui dice: “Questo non spetta a me; potete bere il calice? Bevetelo, ma mettere alla mia destra e alla mia sinistra non dipende da me”. Quindi anche noi non dobbiamo fare un piano per la conversione del mondo; per fare la volontà di Dio basta che facciamo la volontà di Dio che ci è rivelata attimo per attimo e la volontà di Dio è che noi compiamo ciò che manca alla passione di Cristo, cioè il soffrire che Gesù non può fare adesso, dobbiamo farlo noi e nella sofferenza c’è questo impegno di prendere ciò che mi fa male, di credere al di là dell’evidenza, cioè è la sofferenza che ci fa cristiani, cioè altri Cristo che oggi compiono ciò che manca alla passione di Cristo. E quando ognuno di noi ha compiuto la sua parte, ne manca ancora e la faranno gli altri la parte, perché Cristo totale continua a soffrire finché ci saranno gli altri uomini, membra del corpo di Cristo che siamo noi e quelli che verranno. Ognuno deve compiere ciò che manca alla passione di Cristo e quando sarà finito quello che il Padre ha previsto, il numero dei cristiani che il Padre ha previsto che siano sulla terra per raggiungere la pienezza del Cristo (e questo noi non lo sappiamo, lo sa Lui, il tempo quando avverrà questo lo sa solo Lui), però quando avverrà che tutti saranno uno perché la passione di Cristo sarà completa non solo nel capo, ma nel corpo e allora sarà finito il patire, allora sarà finita anche l’avventura.
L’applauso, non degli uomini, ma di Dio
Quindi è bene vivere bene l’attimo presente con tutto quello che c’è di incompleto, però è l’unica cosa che possiamo vivere e che ci dà anche la gioia di questa avventura così appassionante, così drammatica. Quando ero piccolo mi piaceva fare le commedie, non avrei mai immaginato cosa questo avrebbe voluto dire. La commedia voleva dire dramma, voleva anche dire farsa, qualche volta comica, qualche volta tragedia, prendere vari ruoli, essere grande, essere piccolo, essere spazzino, essere professore. Mi piacevano tutti questi ruoli e io sento che questo era vero, era la preparazione che Dio mi dava e vedo che molti uomini vorrebbero essere altri, avere anche altri ruoli; è la preparazione a vivere la tragedia di ognuno, il dramma di ognuno, la comica di ognuno, bisogna vivere bene tutto e alla fine, se uno ha vissuto bene ogni ruolo, ha vissuto proprio una commedia che non ha scritto lui, però che l’ha interpretata bene. I grandi attori sono quelli che fanno tutti i ruoli, i grandi attori comici sanno fare anche i tragici. Charles Chaplin l’abbiamo conosciuto come comico, ma negli ultimi films ha avuto dei ruoli di dramma profondo, profondamente umano e tragico. In “Luci della ribalta” muore e lui fa benissimo questo ruolo come ha fatto i ruoli comici. Il cristiano è uno che deve fare tutto ciò che Dio gli fa fare e lo fa passare dal teatro comico al teatro tragico, al teatro drammatico e lui deve essere sempre all’altezza del suo ruolo, poi gli applausi non saranno quelli del pubblico, anche quelli, però quello che a lui sta più a cuore è Dio, l’abbraccio di Dio che lo ha aspettato, lo ha accolto e gli ha detto: “Bravo! Hai combattuto la buona battaglia, mi hai testimoniato davanti agli uomini, ecco, vieni”. Gesù dice: “Io ti testimonierò davanti al Padre mio”. Quindi è importante l’applauso, ma non degli uomini, ma di Dio che in fondo anche per un attore non è tanto importante l’applauso degli uomini, ma di chi ha scritto quella commedia se gli dice: “L’hai interpretata bene”. Poi, magari, ci sarà quello degli uomini, ma ci sarà anche qualche fischio, ci sarà qualcuno che non è stato attento, qualche contraddizione ci deve essere, perché siamo sulla terra, però quando è finito varranno solo le cose positive perché poi saranno quelle di Dio.
“No! No! Si vede che ci voleva”
Quindi spostiamo tutte queste montagne di stanchezza: non ce la faccio più, ancora, ancora … Mi ricordo quando Albertina stava morendo, qualche giorno prima è venuta un’altra complicazione e io ho detto: “Ma questa proprio non ci voleva” e lei ha detto: “No! No! Si vede che ci voleva”. Questa fede, questo cristianesimo vissuto per me è stata una testimonianza. Io mi sono convertito di fronte a quella cosa di cui io in fondo partecipavo soltanto, ma lei la interpretava quella sofferenza e ancora una complicazione in più e lei: “Si vede che ci voleva”. Quindi, confortati dalle esperienze dei nostri santi, combattiamo il buon combattimento della vita della fede, perché alla fine della vita San Paolo dice: “Ho combattuto la buona battaglia, ho conservato la fede …”. Chissà che prove avrà avuto lui per poter dire come titolo di gloria: ho conservato la fede. E anche noi abbiamo conservato la fede, dove? In che? Nell’unità. Per noi è proprio fondamentale. Noi Dio lo abbiamo trovato nell’unità, le prove le avremo, come dicevo prima, nell’unità e la nostra gloria sarà nell’unità. Per noi non c’è un Dio al di fuori dell’unità, non lo troviamo, non è la nostra vocazione e quindi le prove le avremo lì e le glorie le avremo lì. Ho conservato la fede nell’unità. A un certo punto ho avuto tentazioni, tanti motivi umani per giudicare, per dire: ma allora io non ce la faccio più, io non c’entro, io quella cosa non l’ho fatta, l’ha fatta lui; invece no: siamo uno: ha sbagliato? Ho sbagliato io, lui ha sbagliato io non c’entravo: no, io non c’entravo, ma io ho sofferto? Se io soffro posso anche dire: è stato lui, però io soffro; se io non soffro è l’atteggiamento del fariseo che dice: “Signore io sono giusto e lui è il peccatore” e non sono perdonato. Quindi, popi, convertiamoci tutti. E questa è la testimonianza che Gesù chiede del non scandalo, del non scandalizzare, perché tutte le volte che io non sono quello che dovrei essere, qualcuno si scandalizza, me lo dirà o non me lo dirà, ma si scandalizza e Chiara diceva che non dobbiamo scandalizzare gli altri per la nostra poca santità e quindi, se l’unica maniera di non dar scandalo è la santità, qui noi siamo tutti da mettere con la corda al collo, con la macina al collo perché continuamente non siamo santi e gli altri non hanno quello che devono avere. Gli altri hanno bisogno di Dio e quindi non siamo neanche giusti, perché la giustizia è dare a ciascuno il suo, quello di cui lui ha bisogno: io non gli do Dio di cui lui ha bisogno e io non sono giusto, quindi non sono santo, non sono giusto, non sono uomo perché l’uomo è uno che ama, l’uomo è Gesù, io invece sono andato in vacanza, mi sono riposato, ho detto: “Basta, ora amano gli altri, io ho fatto la mia parte”. Gesù mai hai detto che ha fatto la sua parte. Chiediamo proprio alla Madonna di fare questo miracolo perché la fede è dono di Dio, noi possiamo sforzarci di chiederla, però se non viene dall’alto, non c’è.
Una conquista che noi facciamo con atti di fede
Ho parlato con un sacerdote che è stato missionario in mezzo ai pagani e lui mi diceva: “Sapessi che dono è la fede. Ci sono dei pagani bravissimi, ma che non sanno credere, non riescono a credere, ma sono bravissimi, onesti, rinnegano se stessi, fanno tutto ciò che il cristianesimo vuole, ma non hanno la fede”. Vivendo in un paese cristiano non ci si accorge che dono di Dio è la fede, perché tutti ce l’hanno infusa, sembra normale che tutti ragionino così. Uno che non è battezzato, che non ha questa grazia, ragiona in un modo completamente diverso. E’ un uomo bravo, onesto, buono, però gli manca questa grazia: questa grazia dobbiamo chiederla, dobbiamo prepararla. Adesso per noi che l’abbiamo, questa fede deve diventare una virtù, non soltanto una grazia che ci è data, è una conquista che noi facciamo con atti di fede. Per fare atti di fede, significa che abbiamo difficoltà da superare, sennò non faccio un atto di fede se vedo le cose: non le vedo e allora credo. Una volta è una cosa piccola che devo credere, poi cresce, poi è una difficoltà più grande e allora credo e allora aumenta la mia virtù della fede e dopo riuscirò a fare un forte atto di fede e di fronte a una grossa difficoltà e allora potrò anche spostare la montagna o sradicare un albero, se mi sono allenato con questa virtù che è proprio una conquista come tutte le altre virtù. Dio fa la sua parte e io devo fare la mia. All’inizio Dio fa tutto lui, alla fine quasi sempre, nasconde la sua forza, la sua presenza, in modo che il cristiano debba fare tutto lui. Non è vero che fa tutto lui, lui ne ha l’impressione, va avanti nel buio, nell’aridità più completa, per anni, anni, con uno sforzo che lo consuma. Io ripeto sempre questa frase di S. Margherita Redi di Firenze, il cui corpo intatto riposa presso il convento delle carmelitane di Firenze, la quale si è consumata in questo sforzo di credere, d’amare un uomo, Gesù, che lei non sentiva più, mentre dall’infanzia lo sentiva presente e all’età di sedici anni lei conviveva con Gesù continuamente, tanto che solo dire: Gesù, la faceva svenire dalla gioia. Suo padre era testimone di questa cosa, essendo stato suo maestro di catechismo. E’ morta a 22 anni, in una notte oscura totale tanto che lei ha detto: “Questa ripugnanza che io sento per Dio, ripugnanza con tutto il mio essere è il segno della sua presenza”. Lei credeva che questo dolore che le derivava da una tensione mai soddisfatta, in cui lei si è consumata, fosse il segno della presenza di Dio. La sua presenza prima era dolcezza, pace, dopo è diventata dolore, al punto che lei si è così impegnata, si è così costretta, che alla fine ha detto: è ripugnanza. Solo i santi possono usare certe parole, possono fare certe esperienze. E dopo si sono accorti che era santa. Il suo corpo non si decomponeva mai, è rimasto per dieci giorni roseo, profumato, un profumo strano e nessuno osava metterlo sotto terra. Poi l’hanno seppellita e dopo dieci anni era ancora rosea e profumata. Allora hanno capito che doveva esserci qualcosa e hanno iniziato il processo di canonizzazione e le uniche due frasi che hanno ricordato erano queste: che lei diceva Gesù e andava in estasi (questo l’ha detto il suo padre spirituale) e poi che prima di morire ha detto che questa ripugnanza che tutto il suo essere sentiva per Dio era segno della sua presenza. Con queste due frasi e col corpo intatto hanno iniziato il processo di canonizzazione; hanno chiesto a tutte le sue compagne, le sue suore tutte hanno detto che sempre era stata brava, aveva sempre servito tutti, non parlava mai; poi era stata in cucina negli ultimi tempi, poi era morta di una peritonite probabilmente tubercolare, una malattia dolorosa. Lei non si era mai lamentata, fino all’ultimo aveva lavorato, poi all’ultimo si è messa a letto. Ha sempre lavorato, servito, ha fatto questa esperienza di Dio e l’hanno fatta santa. Adesso bisogna mettere in pratica io e voi queste cose che abbiamo detto.
* Quella che segue è una trascrizione da una meditazione di Maras sul Vangelo del giorno. Si tratta quindi di una trascrizione di un parlato che espressamente non abbiamo voluto cambiare per rispetto dell’autore ben sapendo che al lettore richiederà un supplemento di attenzione. Maras in queste conversazioni, partiva dalle letture del giorno e le commentava direttamente senza nessun altro supporto se non il Vangelo e l’attenzione di chi ascoltava.