Premessa*
“Ricordati di Gesù Cristo e di ciò che io annunzio: Fu un discendente del re Davide, Dio lo risuscitò da morte”. Seconda Lettera di San Paolo a Timoteo (2, 8)
Paolo scrive a questo suo discepolo e amico e gli dice: “Ricordati che Gesù è risuscitato. E che io soffro che sono incatenato, ma la Parola di Dio non è incatenata”. Quindi la Parola di Dio è viva, quindi l’uomo può essere incatenato e morire, ma Dio vive. Ed io sopporto ogni cosa per gli eletti perché essi raggiungano la salvezza. Gli eletti sono quelli scelti per essere salvi. Però c’è un contributo che ognuno deve dare per rispondere a questa elezione. Paolo dice: “Io sopporto per aiutare gli altri, per contribuire a che gli altri raggiungano questa salvezza. Loro che sono stati eletti. Non solo chiamati, ma eletti”. E’ molto importante. Qua c’è già un’esperienza di corpo mistico, comunque una fede di corpo mistico. Paolo dice: “Io sopporto queste cose per gli altri. Per quelli che sono stati scelti affinché possano perseverare”. Lo dice dopo della perseveranza. E in questa perseveranza noi possiamo aiutarci. In questa noi possiamo aiutarci, non nel disegno di Dio. Quello non dipende da noi. Non nel risorgere, quello non dipende da noi. Noi dobbiamo perseverare nel morire. Nel morire bene, nel saper morire bene. Questo è il nostro ruolo. “Ricordati che Gesù Cristo è risuscitato”. Muori pure, muori bene. Perché Gesù è risuscitato e risusciterai anche tu. Quindi queste sofferenze a cosa servono, non a non far morire la Parola di Dio, servono per gli eletti e quindi anche per Paolo. Sono proprio due piani. Dio che è proprio indipendente da tutto. Gli uomini che sono strumenti di Dio, che sono importanti per loro, non tanto per trasmettere la Parola. Anche.
Dio poteva scegliere un’altra cosa
È un amore di Dio per gli uomini quello di sceglierli, non è un bisogno che Dio ha. Tante volte noi diciamo: “Dio ha bisogno degli uomini”. Per parlare un linguaggio umano sì, ma Dio non ha bisogno di parlare un linguaggio umano. Certo, dato che voleva parlare un linguaggio umano, aveva bisogno di Maria, per esempio, che Gli desse un figlio che era un uomo. Ma questo perché l’ha voluto Lui. Poteva volere un’altra cosa. Quindi ci sono due piani: quello della giustizia e il piano della misericordia, il piano del sacrificio e il piano della misericordia. Visto sul piano umano il sacrificio è importante. Dio lo ha chiesto il sacrificio. Gesù si è sacrificato. Però sul piano divino queste cose sono anche non necessarie. Poteva scegliere un’altra cosa. Così quando noi soffriamo, non sentiamoci importanti. Dobbiamo soffrire bene per fare la nostra salvezza e la salvezza degli altri. Ma non è che se noi non corrispondiamo il disegno di Dio si ferma. Il disegno di Dio si ferma in noi, ma non fuori di noi.
In Paolo c’è questa coscienza che Dio va avanti e non lo si può fermare. Allora, tutte queste sofferenze a cosa servono? Per portare avanti il disegno di Dio? No. Per contribuire alla salvezza degli eletti.
E’ l’unità che è magnanima, non io o te
Certa è questa parola che sto per dirvi: se moriamo con Lui, vivremo anche con Lui; se perseveriamo con Lui, regneremo anche con Lui. Se invece lo rinneghiamo, anche Egli ci rinnegherà. Se noi manchiamo di fede però Lui rimane fedele perché non può rinnegare sé stesso. Lui non può non amare. Dio non può non amare. E tu Paolo mi hai seguito da vicino. È molto bella questa confidenza che Lui ha, questa fiducia. Mi hai seguito da vicino nell’insegnamento, nella condotta, nei propositi, nella fede, nella magnanimità, nell’amore del prossimo, nella pazienza. È bello perché qui parla o di sé o dell’altro indipendentemente, proprio come nell’unità, uno parla dell’unità, non parla di sé o dell’altro. Non si sa chi è magnanimo. Certamente Paolo non lo direbbe di sé. Ma lo dice dell’unità. Tu mi hai seguito e l’unità è magnanima. L’unità che abbiamo fatto io, tu, non io, tu, noi. Noi siamo stati magnanimi. Questo è molto importante perché è un’esperienza che io faccio sempre, anche se è difficile dirlo. Questa unità è proprio un’altra cosa di io e te, io e voi. Di quest’unità si può dire qualcosa che di noi non diremmo. Quest’unità fa miracoli, di noi non potremmo dirlo. Quest’unità è perfetta, di noi non potremmo dirlo. Quest’unità non ha paura, di noi non potremmo dirlo. Quest’unità è sapiente, di noi non potremmo dirlo. Quest’unità è vera e di noi non potremmo dirlo. Chi può dire di noi che siamo veri? Paolo VI dice nel suo testamento: “La mia povera vita”. Povera vita. Ognuno di noi deve dire la stessa cosa. Come mai allora quando parliamo di quest’altro io che è in noi diciamo tutto positivo? Una volta con un focolarino avevo capito chiaramente che non ero né io né lui. Ma era il rapporto, tutte quelle cose positive che dicevamo. Per cui abbiamo dato un nome a quel rapporto. Per esempio: “x”. È “x” che ha fatto quella cosa, non io, non tu. È “x” che è buono. È “x” che è bello. E lo potevamo dire perché è vero. Paolo dice tu mi hai seguito nell’insegnamento, qui può andare ancora bene. Il discepolo ha seguito Paolo. Nella condotta, come mi sono comportato io, ti sei comportato anche tu. Nei propositi va bene. Nella magnanimità. Magnanimità vuol dire essere grandi nell’amore e Paolo non poteva dirlo di sé, ma poteva dirlo del rapporto che Timoteo ha seguito. Timoteo non ha seguito Paolo, ha seguito il rapporto, diremmo noi G.I.M. Tutti quelli che vogliono seguire Cristo saranno perseguitati. Non è escluso nessuno. Perciò bisogna aspettarsele queste sofferenze che si chiamano persecuzioni. Non siamo noi che dobbiamo tirarci fuori dalle persecuzioni, è Dio che ci libera attraverso i suoi strumenti, attraverso la sua volontà.
La sofferenza porta avanti noi come strumenti, il piano di Dio va avanti lo stesso
Dunque cosa viene in luce da questa lettera di Paolo. C’è un disegno di Dio che Dio affida agli uomini. Ma questo disegno di Dio va avanti lo stesso. Gli uomini hanno interesse loro a collaborare. Ed in questo devono essere aiutati dagli altri uomini, perché sono tutti un corpo. Per cui in questa corrispondenza al disegno di Dio c’è una sofferenza. Questa sofferenza va offerta per sé e per gli altri. Ma questa sofferenza non è quella che porta avanti il piano di Dio. Porta avanti noi come strumenti del piano di Dio. Se non c’era Pietro, c’era un altro. Naturalmente Pietro ha avuto interesse lui ad essere Pietro, però gli è andata male umanamente. E’ stato crocefisso con la testa in giù. Ma se non ci fosse stato lui ci sarebbe stato un altro. L’interesse è di noi. E questa sofferenza, oltre ad essere redentiva per noi è redentiva anche per gli altri se viene offerta. Per cui cerchiamo sempre, di fronte ad un dolore, a una persecuzione, di offrirla per gli altri. Sapendo che questa persecuzione non è essenziale al piano di Dio, ma è necessaria a noi dato che siamo stati scelti, eletti. Se non ci sono persecuzioni non si raggiunge la nostra pienezza.
* Quella che segue è una trascrizione da una meditazione di Maras sul Vangelo del giorno. Si tratta quindi di una trascrizione di un parlato che espressamente non abbiamo voluto cambiare per rispetto dell’autore ben sapendo che al lettore richiederà un supplemento di attenzione. Maras in queste conversazioni, partiva dalle letture del giorno e le commentava direttamente senza nessun altro supporto se non il Vangelo e l’attenzione di chi ascoltava.